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martedì 30 marzo 2021

Pasolini - PER ESORCIZZARE UN FUTURO DI INTOLLERANZA

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 

Le immagini sono di Roberto Villa
Roberto Villa ha donato il suo archivio alla Cineteca di Bologna.



PER ESORCIZZARE UN FUTURO DI INTOLLERANZA



La fonte d‟ispirazione „princeps‟ è una lettura critica delle Mille e una notte. Strana lettura critica. Io non sono infatti competente di letteratura araba, né di storia araba. È possibile la lettura critica di un testo al di fuori di ogni forma di storicismo? Evidentemente no. Ma c‟è qualche compenso. Per esempio la mia conoscenza esistenziale del mondo arabo. Posso dire di conoscere più gli arabi che i milanesi. (Cosa che si inquadra in una mia extravagante competenza del Terzo Mondo). Ho quindi potuto storicizzare le Mille e una notte per ciò che esse sono

adesso nel loro contesto popolare: confrontarle col mondo – sia pur in parte evoluto – di cui parlano. Inoltre lo strutturalismo è un metodo critico che può anche permettersi di analizzare un testo in se stesso, come avulso dalle circostanze, e guardare com‟è fatto, come funziona: qual è la forma del suo universo. Così ho fatto io. Potrei dire, a questo proposito, che le scoperte, prime e schematiche, della mia osservazione critica sono due. Primo: i racconti delle Mille e una notte, sono il prodotto di una serie di anomalie del destino. In genere il destino è talmente nelle mani di Dio da riuscire imparlabile se non nelle invocazioni e nelle parènesi: per il resto, esso genera di nascosto le sue vicende normali (nascite, matrimoni, morti). Ogni tanto però si sveglia, si fa vivo, „appare‟: ed ecco l‟anomalia. Ogni racconto delle Mille e una notte comincia con una „apparizione‟ del destino, che si manifesta attraverso un‟anomalia. Ora non c‟è un‟anomalia che non ne produca un‟altra. E così nasce una catena di anomalie. Più tale catena è logica, serrata, essenziale, più il racconto delle Mille e una notte è bello (cioè vitale, esaltante). La catena delle anomalie tende sempre a ritornare alla normalità. La fine di ogni racconto delle Mille e una notte consiste in una „disparizione‟ del destino, che si insacca nella felice sonnolenza della vita quotidiana. Ciò che mi ha ispirato dunque nel film è vedere il Destino alacremente all‟opera, intento a sfasare la realtà: non verso il surrealismo e la magia (di ciò si hanno rare ed essenziali tracce nel mio film), ma verso l‟irragionevolezza rivelatrice della vita, che solo se esaminata come „sogno‟ o „visione‟ appare come significativa. Ho fatto perciò un film realistico, pieno di polvere e di facce povere, ma ho fatto anche un film visionario, in cui i personaggi sono „rapiti‟ e costretti a un‟ansia conoscitiva involontaria, il cui oggetto sono gli avvenimenti che gli accadono.
Tale ansia conoscitiva rende la loro passività stranamente eroica. Nel „giocarli‟, il destino (la volontà di Dio) ha un suo piano, quello di renderli sia pur fuggevolmente degli umili „compagni di Ulisse‟, a seguir virtude e conoscenza (in un quadro di generale vanità del tutto, a cui essi sanno opporre solidamente solo le regole della normalità quotidiana). Secondo: l‟elemento protagonista è dunque il destino, inteso però come normalità, come ontologia di ogni vicenda e condizione umana (qui l‟empirismo della „morale‟ popolare si sovrappone al Corano, o meglio, rincorpora il Corano, „normalizzando‟, attraverso il culto e la convenzione, quanto di abnorme, al di fuori del conoscere empirico, esso abbia rivelato). Tale ontologia della vita ha però anche degli antagonisti. Ma essi non sono mai visti, nelle Mille e una notte, come tali. Gli antagonisti non nominati del destino „normale‟ sono la magia e l‟omosessualità. È di essi che – senza apparentemente averne coscienza, e certamente senza darne – il destino si serve per creare le sue anomalie. Alla magia e all‟omosessualità noi potremmo aggiungere il Potere, che nelle Mille e una notte si presenta come estremamente frazionato, benché i vari Potenti (Re o Principi, coi loro Visir e le loro corti) siano tutti uguali uno all‟altro, fino alla stereotipia. Sarebbe arduo però dimostrare che il Potere sia fuori dall‟ontologia che spiega la vita. Ma forse la sua oscura forza antagonistica consiste nel fatto di non essere un Potere centrale, nazionale (l‟eternamente mancato „Regno arabo unito‟). Certo è che il prota-gonista (il Destino) fa largo uso, nel suo gioco, del frazionamento del Potere. Le catene delle anomalie sono generalmente legate a lunghi viaggi. Anzi, si potrebbe formulare l‟ipotesi di una struttura narrativa delle Mille e una notte consistente nella fusione della catena delle anomalie e del lungo viaggio. Secondo questo schema: anomalia – serie di anomalie – altrove – ritorno. L‟altrove – oltre che un viaggio in nuove, benché confinanti, zone del Potere – può essere un luogo magico oppure un sogno. Vorrei ricordare che l‟idea del dramma di Calderón La vida es sueño si trova nelle Mille e una notte. 

Tutti i personaggi delle Mille e una notte sono artigiani, commercianti e contadini, oltre naturalmente che regnanti e nobili (ma come in tutte le società feudali, poveri e ricchi la pensano allo stesso modo; lo rivela in modo incontrovertibile il senso estetico che è identico in tutti). La mia condanna marxista di un mondo di „sfruttamento dell‟uomo sull‟uomo‟ non è retroattiva, neanche un po‟. Non considero i „poveri‟ del passato „subumani‟ solo perché non hanno avuto coscienza di classe e si sono ribellati solo saltuariamente attraverso ribellioni di carattere sottoproletario e contadino. Non condanno né disprezzo la loro rassegnazione e la loro passività. Sono anche queste forme di vita. Se nella maggior parte dei casi, peraltro, esse sono „estraneità culturale‟ dalla cultura del potere, non mi sembra che questo sia il caso del mondo arabo delle Mille e una notte: i poveri qui hanno la stessa cultura dei ricchi (mondo magico, omosessualità, senso comune, frazionamento del Potere, che sembrerebbero elementi arcaici e fortemente tradizionali, non sono elementi della cultura dei poveri, ma anche dei ricchi e dei privilegiati). Forse in questa unità di potenti e di sudditi consiste il fascino del mondo delle Mille e una notte: un fascino, per me, potente. Intanto perché non c‟è uomo, nel mondo delle Mille e una notte, che non senta profondamente la propria dignità (neanche il più misero dei mendicanti ne è privo), e poi perché, non so per quali vie misteriose, attraverso tale unità culturale – in cui ognuno attinge il proprio diritto alla dignità umana – prende forma e viene vissuto un eros particolarmente profondo, violento e felice (è nei periodi di repressione che il commercio dei sensi è più fitto, fortunato ed esaltante). Quella che conta è la tolleranza popolare, non la tolleranza del potere. E ogni morale popolare fondata sull‟onore è tollerante. Tutto ciò – allo stesso modo e molto di più che nel Decameron e nei Canterbury Tales – mi ha affascinato. Odio ormai il mondo attuale tutto piccolo borghese e fintamente tollerante (per decisione del potere consumistico). Oppongo a esso questo mondo scomparso, che sopravvive in qualche zona del Terzo Mondo, da Napoli in giù, benché premuto ormai dai modelli piccolo-borghesi del consumismo e della finta tolleranza. Là dove tali modelli cominciano a imporsi, cominciano le abiure. In nome di un livello di vita piccolo borghese occidentalizzante i popoli arabi (come hanno fatto il popolo romano o il popolo siciliano) abiureranno dalla loro antica tolleranza reale, e, per reazione, diverranno orribilmente intolleranti (mentre le loro élites co-minceranno a gratificarsi – come avviene nel mondo occidentale – di una nominale tolleranza). Per esorcizzare un simile futuro ho sognato un film come le Mille e una notte con inenarrabile struggimento.
Ho obbedito alle mie solite regole stilistiche (niente piani-sequenza, niente personaggi di quinta, niente entrate e uscite di campo, niente attacchi sullo stesso asse), ma ho in un certo senso aumentato la passività della macchina da presa. Eccettuate due o tre panoramiche, essa non è mai presente. Ho lasciato fluire il mondo profilmico, così come fluiscono i sogni e la realtà (se potesse essere sintetizzata, come accade in un „film‟ rispetto al „cinema‟). Del resto il Destino nel combinare nel suo gioco eroico gli avvenimenti non ha certo bisogno dell‟ausilio di una macchina da presa. Questa non può essere che contemplativa.
So che i critici non vedono con simpatia questo mio insistere in film non attualistici e non ideologici (almeno apparentemente, cioè in modo abbastanza volgarmente riconoscibile. Ché io so quanta passionale attualità e quale complesso ingorgo ideologico mi spinga a questi film; e anche quanta ambizione). Se Fellini avesse dato retta alle impazienze dei critici, non avrebbe fatto quel bellissimo film che è Amarcord. Il „tempo‟ di un autore non è quello dei giornali.
Adempiersi è sempre esorbitare. Anche i problemi culturali di un autore non sono quelli che farebbero comodo alla critica. Perfino la rappresentazione dell‟eros nei miei ultimi film (nella mia trilogia) non ha la funzione che vorrebbe essergli attribuita: cioè non è il contributo a una liberalizzazione dei rapporti sessuali. No. Anzi, se i miei film avessero per caso contribuito all‟attuale tolleranza li abiurerei. Trovo infatti tale tolleranza progettata e programmata dal potere, dall‟alto; e quindi subìta dalla gente; soprattutto dai giovani, che sono nevrotizzati dall‟ansia di dover essere pari alle libertà che vengono loro concesse. La rappresentazione libera dell‟eros nei miei ultimi film è la rappresentazione dei rapporti sessuali delle epoche repressive: da ciò deriva loro (credo) l‟assoluta mancanza di ogni forma di volgarità. Quanto ai critici protesi verso il futuro e impazienti di indugi, si tranquillizzino. Con Le mille e una notte finisce la mia trilogia, cioè il mio più ambizioso esperimento. Il prossimo film sarà addirittura un film sull‟ideologia. Quindi esplicitamente ideologico. Ma non sarò forse mai più così profondamente e radicalmente ideologico come sono stato in questi miei tre ultimi film, e specialmente nelle Mille e una notte. 

Pier Paolo Pasolini
Da "Tempo", 28 aprile 1974 
 
Tratto dal volume pubblicato in occasione della mostra L’oriente di Pasolini. Il fiore delle Mille e una notte nelle fotografie di Roberto Villa 26 maggio - 7 ottobre 2011, Sala Espositiva Cineteca di Bologna a cura di Roberto Chiesi
© 2011 Edizioni Cineteca di Bologna via Riva di Reno 72 40122 Bologna
Le immagini, per gentile concessione di Roberto Villa.

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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