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mercoledì 19 febbraio 2014

ACCATTONE, 1961 - Angela Molteni aprile 1997

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





ACCATTONE, 1961
Articolo di Angela Molteni

La drammaticità e la tragicità della "storia" che Pasolini narra nel film è sottolineata, fin dall'apparire dei titoli di testa, dalla musica della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, quasi ad accostare la squallida povertà, morale e materiale, della vita del sottoproletario urbano alle terribili sofferenze del Cristo condannato a morte. Accattone è il personaggio centrale delle vicende narrate, un "povero Cristo", emarginato da una società di benpensanti borghesi quale quella che Pasolini sfidava e criticava senza indulgenze. Non a caso, quella stessa società che perseguitò letteralmente il poeta-regista poiché questi osava dichiarare implicitamente - nel film, come nelle opere letterarie - la propria solidarietà, la propria simpatia per i piccoli delinquenti, per i sottoproletari romani, per la vita dei "diversi", dei "relitti" umani. Accattone è, appunto, la realistica rappresentazione di un povero essere umano, frustrato e senza speranza nel futuro, senza volontà di riscatto, così come sono i suoi compagni di strada. La società "normale", quella borghese (alla quale - è da tener presente - anche Pasolini apparteneva; ed è anche da questa appartenenza che traggono origine i motivi persecutori, anzi, i linciaggi esercitati nei suoi confronti) è rappresentata nel film soltanto attraverso la presenza di alcuni funzionari e agenti di polizia. Ed è chiaro come la pensi Pasolini nei confronti di questi ultimi: riserva loro modi autoritari, sbrigativi, repressivi, punitivi, antipatici; nelle mani del poliziotto in borghese al quale è assegnato il compito di spiare le mosse di Accattone per coglierlo in flagrante vi è un foglio, "Candido", un periodico della destra neofascista. Non vi sono altre raffigurazioni di questa società, "altra" rispetto al mondo vissuto da Accattone e dai suoi compagni, e ciò rafforza il concetto di separazione, di indifferenza, di non considerazione, di non riconoscimento reciproco: mondi diversi e che si ignorano vicendevolmente. Nel film ho trovato descritta, più in generale, un'umanità senza lavoro, priva di futuro, che vive alla giornata di espedienti, di miseri lavori, duri e malpagati ("...poi, quando uno c'ha bisogno... basta ch' è lavoro..." "Te pagano bene?" "Tanto pe' non mori' de fame", è il dialogo, essenziale, tra Accattone e Stella. E quando anche questi mancano, la vita quotidiana è fatta di "stravaccamenti" intorno al tavolino di un baretto, di piccoli furti, di ricettazione, o di un "artigianale" quanto subito abortito sfruttamento della prostituzione. Così è fatta la vita quotidiana di Accattone, così è quella dei sottoproletari confinati nelle periferie delle grandi città, ci dice Pasolini. Se aggiungessimo le tossicodipendenze, lo scenario sarebbe esattamente quello dei nostri giorni... L'attualità, la "modernità" di Pasolini è qui, in questa denuncia di condizioni di isolamento, di "non esistenza", di disperazione e di emarginazione: le stesse di oggi. Condizioni che fanno sì che le vittime affidino le loro vite, il loro futuro - inesistente - ai propri carnefici. O, in altre parole, che - qui e ora - il sottoproletariato urbano in una città come Roma voti in massa per la destra, per esempio. Oppure, per fare un altro esempio, che i supersfruttati operai del celebratissimo Nordest suppongano che la soluzione di tutti i problemi stia nel neoliberismo e nel cosiddetto "mercato". Vi sono nel film rari momenti di amara ironia, come nell'episodio della "spaghettata" di Accattone e dei suoi amici nella baracca di un altro disperato loro pari ("Sbrigatevi a butta' giù 'sta pasta sennò famo la fine de quelli de Norimberga") e di sana filosofia popolare ("A 'sto mondo, più bene fai, più calci in faccia ricevi"). Ma un elemento che certamente non è secondario, un elemento attraverso il quale Pasolini costruisce e rafforza i messaggi che intende trasmettere con le sue figurazioni, è costituito dalla musica e... dai silenzi. Nella sequenza del "sogno" di Accattone, quella che personalmente ho più apprezzato, la suggestione maggiore è proprio dovuta al silenzio, all'assenza assoluta di suoni che non siano lo scambio di pochissime parole tra Accattone, coloro che seguono il suo funerale, il becchino, e il respiro, quasi un lamento, di Accattone che sogna. Geniale. Trasmette fino in fondo l'angosciante sensazione della morte pre-sentita, lo struggimento di non poter neppure contare su una fossa esposta al sole... Definitiva e terribile conferma dello spregio che lo circonda in vita e in morte. Agli stornelli o a spezzoni di canzoni popolari con testi "rivisitati" sono affidati momenti di aperto sarcasmo o di ironia di Accattone e della combriccola cui spesso si accompagna. Nel momento più tragico, quello della morte, insieme alle ultime parole di Accattone ("Ah, mo' sto bbene"), viene riproposto Bach. Il "Corale" della Passione secondo Matteo, che nel film è eseguito da soli strumenti, contiene un testo che mi piace riportare, poiché mi pare l'esatto coronamento della frase del protagonista: "Siamo seduti in lacrime / e ti chiamiamo nella tomba: / dormi tranquillo, dormi in pace! / Riposate, stanche membra! / Dormi tranquillo, dormi in pace!"

Angela Molteni aprile 1997
Fonte:
http://pppasolini.altervista.org/articoli.htm

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Curatore, Bruno Esposito

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