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sabato 14 dicembre 2013

Pasolini - Contro l'omologazione

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Contro l'omologazione
di Giuliano Della Pergola da "Il Manifesto" del 16 aprile 1988


Il 2 novembre 1975 Pasolini veniva ucciso in circostanze che, per metterci la coscienza in pace, chiameremo per ora "solo" drammatiche. L'11 aprile 1987 Prima Levi si gettava dalle scale della sua abitazione. Suicida. Dicono che, negli ultimi tempi, la sua depressione fosse giunto al punto che egli non riusciva piu' non solo a scrivere, ma neppure a leggere. Nella mia fantasia ritorno spesso a queste due morti, diversamente inquietanti. Non riesco a togliermi dalla mente che siano legate da un comune senso tragico della storia, presagio possibile di un terribile futuro. Nella morte di Pasolini colpi' la fantasia di chi seguiva la sua "disperata vitalita'" lo stretto rapporto esistente tra la morale espressa nel suo ultimo film Salo' e quel che sappiamo della sua morte al Lido di Ostia: una morte "annunciata" nel film, quasi cercata (dira' Pelosi, un giorno, tutta la verita'? O in cambio del suo silenzio continuera' ad entrare e ad uscire dalle carceri italiane?) In Salo' Pasolini sostenne la tesi secondo cui un sottile legame puo' unire, pur nel dramma, il carnefice con la vittima, entrambi accomunati sadomasochisticamente nella comune azione. Una sorta di corto circuito tra oppressi e oppressori, il cui esito e' l'impossibilita' di lottare. Una sorta di fascino che s'impone, coi connotati della "collaborazione sociale", sulle contrapposizioni e i conflitti. Oppressi e oppressori omologati e accomunati insieme: indistinti. Il fascismo porta all'omologazione e viceversa l'omologazione porta al fascismo. Pasolini aggiungeva che l'omologazione in atto in Italia, necessaria perche' il paese passasse dalla somma di culture nazionale, era caratterizzata da un forte violenza. Nella tradizione italica stavano le distinzioni (e i dialetti), nel futuro del paese l'integrazione europea (e la lingua italiana trionfante sui dialetti). Non cosi' pensava Primo Levi. Nel suo ultimo e splendido libro, I sommersi e i salvati, ritornando sul tema oppressi-oppressori ha scritto pagine esaltanti nel contestare la necessaria omologazione tra chi subisce e chi infierisce. Una allusione critica al film di Liliana Cavani Portiere di notte ci toglie ogni sospetto sul suo pensiero, su questo punto. Ma, sostiene Primo Levi, Auschwitz fu un fatto storico. Come tale puo' tornare. Questa tragedia, che per la sua dimensione madornale, non puo' essere vissuta due volte, puo' ripresentarsi. E sebbene i crimini di fronte ai quali ci troviamo ogni giorno (o quelli svelati tardivamente, perpetrati nel silenzio e oggi riscoperti), non possono essere comparati con l'efferata, programmata, organizzata brutalita' di quanto accadde nei campi di sterminio nazisti, pure la riflessione e' costretta a scendere nel buio di dimensioni tragiche, che la nostra fantasia non sorregge. Alludo alla Cambogia, al Vietnam, alle lotte tribali in Africa, ma anche nell'Armenia, al Kurdistan iracheno, ai cinquemila morti, a mezzo yprite, del 27 marzo 1988 ad Halabja. L'omologazione riguarda anche l'indifferenza con la quale l'opinione pubblica segue queste tragedie. Come quei polacchi che lavorano i loro campi tutt'intorno ad Auschwitz (le cui agghiaccianti testimonianze sono analiticamente raccontate nel documentario Sterminio), senza terrore, senza indignazione, senza scandalo, con assuefatta sottomissione - come fossero ovvie! - le deportazioni e le morti, cosi' l'opinione pubblica quotidianamente apprende dai televisori le tragedie attuali e cio' non crea fremiti di rabbia, o un grande desiderio di trasformazione etico/politica. Si viene a sapere e si dimentica: si sa e non si sa piu'. Nel tempo tecnico necessario a passare su un altro canale. Siamo in presenza di un immenso processo di omologazione: quella legata all'assuefazione dell'orrendo, che ci fa complici dei carnefici. L'orrido e' diventato ovvio. Di questo Levi lucidamente s'accorse prima di morire. E allora perche' sopravvivere? Non si puo' essere testimoni due volte di crimini tanto atroci. Chiamiamolo "depressione" - ma anche qui per metterci la coscienza in pace: senza convinzione - la malattia che lo porto' a gettarsi dalla tromba delle scale della sua abitazione torinese. Le morti di Pasolini e Levi ritornano spesso nella mia fantasia: e se un nuovo strisciante fascismo fosse gia' tra di noi?


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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