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sabato 6 luglio 2013

Pier Paolo Pasolini, il confronto con Cristo e la sua visione religiosa della Vita

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini, il confronto con Cristo e la sua visione religiosa della Vita


Avevo tredici anni e abitavo nei pressi di Villa Gordiani, a quell’epoca vivevo nelle strada, pur venendo da una famiglia benestante, per sette anni sin dal l’inizio abbandonai la scuola e vissi vagabondando sia di giorno che di notte tra le distese periferie Romane: Torre dei schiavi, Quarticciolo, Villa Gordiani, Centocelle, il Mandrione, dove i canti delle puttane erano ninnananne, il Casilino ecc. Ma ero avvezzo alla strada, perché fino dai sei ai dieci anni alla Pisana, vissi solo nella strada, non ricordo di aver fatto le elementari. La mia lingua era il Romano, ma il Romano delle borgate e non il Romanesco ottocentesco del Belli, che si differenziava da questo dialetto, come una lingua colta da una lingua popolare. Questa lingua era ricchissima di vocaboli e di espressioni, le quali erano tutte attinenti alla vita delle Borgate Romane è di questa lingua che Pasolini s’innamorò, purtroppo questo dialetto è quasi scomparso, anche io che parlavo solo in quel dialetto e lo conoscevo perfettamente mi rimangono solo poche espressioni. La prima volta che vidi “il Vangelo secondo Matteo” in televisione avevo quattordici anni, ne rimasi colpito, affascinato, turbato, fino allora la figura del Cristo per me non aveva nessuna importanza, una figura anonima come qualunque altra. Dopo questa visione, tornai ad essere quello di prima, nato libero fuori da qualunque condizione esterna sia religiosa, sociale, scolastica e famigliare, solo la condizione del vivere, come puro atto esistenziale, puro atto animale, in estrema libertà di vagabondare in quelle periferie che Pasolini ha ben descritto nei suoi romanzi e nelle sue poesie; e in queste periferie che sentii il nome di Pasolini che girava con la Maserati e pagava i ragazzi per le sue debolezze sessuali, (nella lingua Romana si chiamavano Froci), nella lingua Pasoliniana era una (omofilia del sangue). Una volta passai vicino ad una bancarella di libri usati, ce n’erano moltissimi e dentro di me pensai , come fa la gente a leggere i libri, la consideravo una perdita di tempo, essendo allora semianalfabeta, anche nei giornaletti guardavo solo le figure. Poi a sedici anni e mezzo venni a vivere a Ladispoli e qui a diciassette anni scoprii la passione dei libri. D’allora lessi accanitamente, tutta la letteratura Francese, Russa, Tedesca, Inglese e la letteratura antica, poco quella italiana, leggevo soprattutto romanzi e saggi critici, per capire quello che studiavo, fino a quando sono andato a fare il militare divorai centinaia di libri. Il militare fu una pausa, in quel periodo non lessi nessun libro, quando mi congedai, tornai a casa e ripresi a leggere, ricominciai a studiare la letteratura universale. Un giorno in una discussione tra amici, spuntò il nome di Pasolini e qualcuno dei miei amici mi disse “tu che studi letteratura che ne pensi di Pasolini”? Io risposi : per me non vale niente è un povero Frocio. Un anno dopo cominciai a vedere i suoi film e a leggere le sue poesie e i suoi libri, e mi rivenne in mente Il vangelo secondo Matteo, e d’allora cominciai ad amare questa grande figura da farne un vero e proprio culto. Una mattina di novembre del 1975 un mio amico mi venne a svegliare e mi disse: hanno ammazzato Pasolini. Il dispiacere fu enorme che per una settimana ebbi la febbre a quaranta, ero rimasto orfano all’età di sedici anni e di nuovo un padre mi veniva tolto, si ricreò quel vuoto e quella solitudine che provai fin da quando abbandonai le acque materne e questa solitudine cosmica, che l’universo ha creato dal suo Big Bang la si può sentire nelle notti stellate dentro il movimento d’ogni creatura cosmica e la riporterò in tutta la mia opera poetica “la trilogia del tempo che muore”.

Pier Paolo Pasolini: sono un ateo che vede la vita nella sua religiosità. Questa sua religiosità trapela in modo diverso da tutti i suoi scritti e in tutti i suoi film, tranne per Salò, che ormai deluso, solo, amareggiato, dopo l’abiura alla trilogia della vita, esprimeva appieno ciò che era divenuta la nostra società con l’avvento del consumismo e della omologazione. La religiosità che più si evidenzia dai suoi film il (vangelo secondo Matteo e la Ricotta) è quella del Cristo: il Cristo umano, terreno, rivoluzionario, venuto a sovvertire le leggi dei padroni, degli oppressori a sconvolgere il potere costituito, a dare scandalo; questo Cristo nel Vangelo secondo Matteo, si appropria delle parole del vangelo e rimane un rivoluzionario, che distrugge ogni forma di casta ed evidenzia la povertà e la sofferenza del popolo, degli schiavi, delle puttane e di ogni essere umano che vive emarginato e sofferente, fino a dire che gli ultimi saranno i primi. Questo Cristo, che esprime tutta la sua religiosità in questa lotta che sconvolgerà il mondo antico e lo minerà alle sue radici e lo farà morire sulla croce, dopo essere stato flagellato, accettando su di sé il dolore del mondo è in questo dolore umano che il Cristo si identifica, e in questa sua umanità si esprime la sua religiosità. La lotta che fece Cristo era quella di cambiare profondamente la società, quella Pasoliniana è stata quella di non cambiarla di rimanere nel passato, di non distruggere tutta la nostra cultura formatasi dalla morte del Cristo all’avvento del consumismo, duemila anni di umanesimo gettati alle ortiche per sostituirli col puro consumo,in fondo è la nostra nuova religione che ci è entrata dentro e che non ce ne possiamo più separare.
in Accattone la religiosità si esprime nel popolo, il popolo della borgate romane, non che il popolo delle borgate sia stato un popolo religioso, anzi tutto il contrario, la sua religiosità era soltanto formale. La sua religiosità era data dall’estrema povertà in cui vivevano e all’adattamento alla miseria e alla fame, nelle baracche in cui vivevano piene di figli e di miseria, l’unica cosa che potevano fare erano i figli benedetti dalla provvidenza e dalla gioia di vivere e non come oggi: (l’aborto, negazione della vita, omicidio legalizzato, sfregio della donna e non più come atto divino e ripetizione della creazione di tutto l’universo) e per uscire da questa miseria i ragazzi sceglievano le strade più maldestre: il rubare, l’essere magnaccia e far prostituire le loro donne, per quei pochi luccichii d’oro che portavano al collo e alle dita. La religiosità espressa da Pasolini era come quella del Cristo, la religiosità della povertà della gente e degli esseri emarginati, dei ladri e delle puttane. Fu scandolo quando Pasolini adoperò per le sue inquadrature le musiche di Bach, che sono profondamente religiose.
La mia esperienza del Cristo è trivalente, studiando e rappresentando teatralmente la poesia di David Maria Turoldo (Sillabe divine, Mario Pozzi), questa poesia puramente Cristiana, sia per spiritualità, sia per umanità, dà al Cristo quel porto, quel rifugio che ogni anima attanagliata dalle sua tenebre cerca la sua luce “io sono la verità e la vita, chi crede in me non morrà ma vivrà in eterno”. Turoldo era uno studioso della bibbia e i suoi dubbi sull’Eterno si manifestano nei (canti ultimi), dove il salmista Qoelet, pone come nostro fine il nulla, il Divino nulla, tema Leopardiano (e la natura ci pose come fine solo la sepoltura); questo nulla lo contrappone col dolce salmo del Cantico dei Cantici, dove nella notte la fiammella ardente della fanciulla attende lo sposo, ed ecco lo sposo, la dolce e tenera figura del Cristo, luce nelle tenebre del mondo.
Ritornando alla figura del Cristo Pasoliniano, andiamo al film “La Ricotta” dove il dualismo del Cristo Ecclesiale, formale, accademico con la scena trasgressiva della deposizione si differenza nella figura di Stracci, povero Cristo delle borgate che per pura fame,(beati gli umili e i mansueti, perché è per loro il regno dei cieli), si presta ad ogni umiliazione per riempirsi la pancia, fino a morire come il Cristo sulla croce per indigestione. Pasolini fu sempre attratto per le sofferenze del popolo, prima per l’immenso mondo contadino dove in esso vedeva la profonda religiosità umana di questa gente che viveva come l’uomo era vissuto, legato alla terra e alle stagioni e al dominare della natura e in questa natura si celava la sua Divinità, che l’uomo rispettava, perché da essa dipendeva.
Mamma Roma, interpretato da Anna Magnani, Pasolini ebbe dei dubbi su Anna Magnani, perché non rispondeva al suo canone di donna del popolo, ma ad un canone borghese. La storia è quella di una prostituta che vuol abbandonare il suo destino per divenire una piccola borghese, ha un figlio che adora e lo strappa dal paesello dove era stato allevato per portalo a vivere in una delle borgate Romane per inserirlo in una vita piccolo borghese, quando sembrava che c’era riuscita, il suo vecchio protettore si ripresenta e la costringe a tornare sulla strada, il figlio dopo diverse peripezie, morirà in prigione su un vecchio tavolaccio invocando la madre che lo aveva tolto dal paesello dove viveva tanto bene. Pasolini per questa scena adoperò la figura del Cristo morto del Mantegna. Questo film, nonostante le musiche classiche a tema religioso, le inquadrature che riportavano la vita di quelle borgate, la disperazione della madre e per la morte del figlio, non riesce a dare un senso religioso, perché nel tema trattato non c’è nulla di religioso; c’è solo la povera vita di una prostituta che cerca una vita borghese e in questo rovinerà il figlio.
In Teorema, dove un bellissimo giovane, attraverso l’ossessività del sesso, viene a sconvolgere una famiglia dell’alta borghesia milanese, Pasolini identificava la borghesia come il male del mondo, entropia borghese, incapace di essere felice e questa sua infelicità la deve espandere a tutti gli esseri viventi. La figura del padre anche quando avrà la sua crisi di coscienza troverà solo il deserto e il suo perduto grido(Munch). La famiglia, incapacità di comunicare tra loro, solitudine, infelicità, disperazione. La religiosità di Pasolini anche qui si esprime nella figura della serva, che abbandonata la casa si rifugia nel suo mondo contadino e per ascesi viene venerata ma ammuffisce, presagio della fine del mondo contadino e con lui tutti i suoi valori. La figura di Riccetto analfabeta e ingenuo, la sua religiosità è la più pura, incontaminata, la religiosità della vita che basta a se stessa, la sua allegrezza, la sua spontaneità.
In Medea la religiosità Pasoliniana è arcaica legata al principio del tempo, alla società rurale, che nei loro credi religiosi e sacrificali celebravano la vita, la vita ferma nel tempo e del suo ripetersi, finché una nuova società sostanzialmente laica viene a rubare il vello d’oro e a dissacrare quel mondo. Giasone, viene allevato dal centauro nel mito della natura dove in ogni suo manifestarsi è celato il sacro, il mistero. Il centauro svelerà a Giasone che lui non è suo padre, ma lo raccolse dalle acque e i suoi genitore erano Dei e Re e che lo zio uccidendo il padre le aveva tolto il regno, che solo col recupero del vello d’oro lo può riconquistare e che il vello d’ora sta in una terra lontana. Poi Giasone diverrà adulto e il centauro non sarà più un mito sacro, ma sarà laico, dedito alla ragione e alle sue passioni. Giasone su invito dello zio parte alla conquista del vello d’oro e con l’aiuto di Medea che col fratello ruberà il vello d’oro e lo ucciderà seminando i pezzi del suo corpo per sfuggire all’ira del padre. Medea discesa nella nuova terra già non riconosce più la sacralità della nuova terra non ne sente più il mistero. Portandola in questa società laica, estranea alla sua vera natura e per essere abbandonata e tradita da Giasone, Medea sfogherà tutta la sua furia devastatrice come quella della natura su i propri figli uccidendoli, compiendo quest’atto tragico con pura lucidità, umilierà Giasone e lo condannerà al suo rimorso.
In Epido Re la religiosità è tutta personale, il tema è tutto autobiografico, il contrasto tra padre e figlio e il suo amore e odio e lo smisurato amore per la madre, quasi una schiavitù, dalla poesia (A mia madre), (il mito e il fulcro del soggetto e la tragedia è il massimo del mito, Pier Paolo Pasolini). Epido, viene fatto abbandonare dal padre con i piedi tagliati e legati sul monte Citreonte a certa morte, perché l’oracolo di Delfi da lui interrogato gli predette che il primogenito lo avrebbe ucciso, il pastore Euforbo lo trovò e lo consegnò a i regnanti di Corinto che lo allevarono. Ma il destino di Epido è già segnato come predetto dall’oracolo di Delfi, va incontro al suo destino inconsapevolmente, se è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli innocenti (tema delle tragedie Greche), sarà condannato per l’incestuoso rapporto con la madre e l’uccisione inconsapevole del padre a vagabondare cieco, dopo essersi tolto la vista. Il tema svolto, tramite la tragedia di Sofocle è molto complesso e Pasolini identifica in questa tragedia i suoi rapporti personali con il padre e la madre. Il rapporto d’amore con la madre e il suo esclusivo vincolo, lo portarono all’omosessualità. Pasolini non aveva in sé nessuna componente femminile, se non quella dell’anima, (Il mio amore è per la donna, infante e madre), era un uomo a tutti gli effetti sia negli atteggiamenti che nel suo modo d’essere, e nella poesia (a un figlio mai nato), dove una giovane puttana dolce come un ragazzo, gli venne incontro festosa, Pasolini la fece salire nella macchina e nella felicità della vita, ebbe l’unico rapporto sessuale della sua vita con una donna. Il tema del padre e il figlio e la madre è un tema antichissimo, è il tema peculiare della nostra vita e in questo c’è una religiosità profonda, mitica, ancestrale che deriva dalla stessa natura delle cose e se questa natura viene in qualche modo alterata o sconvolta, tutto l’equilibrio naturale prende altre soluzioni e si perde nel mistero. Pasolini definì questo film, film di psicanalisi, io non credo nella psicanalisi, scienza riduttiva come tutte le scienze fine a se stesse. Pasolini di questo tema ne fece un dramma personale, già in Affabulazione, anticipa i temi di Epido, nel contrasto sessuale tra il rapporto col padre e il recupero del figlio tramite il suo mistero. Nella poesia a mia Madre (ho bisogno di corpi senza anima, perché l’anima sei tu e tu sei la mia schiavitù) e questa schiavitù che lo seguì per tutta la vita lo vincolerà alla sua omofilia.
Pasolini aveva una cultura laica, profondamente classica, occidentale, e non conosceva profondamente la cultura Russa e la sua anima, anche se aveva letto molti scrittori Russi. Prendo ad esempio da (Descrizioni di descrizioni), l’analisi che fece dei due romanzi di Dostoevskij, (Delitto e castigo e i Fratelli Karamazov), la descrizione è sempre freudiana, complesso di Epido, il super uomo di Nietzsche, i rapporti ossessivi della madre e della sorella portano il protagonista a compiere il delitto come per liberarsi della schiavitù della madre e della sorella, in delitto e castigo. Nei fratelli Karamazov l’analisi è il complesso del padre che i figli hanno e per liberarsi da questo complesso sempre freudiano compiono, simbolicamente il parricidio tutti e tre insieme ecc. Questa versione Pasoliniana dei due romanzi è sbagliata, perché come scrisse Giuseppe Ungaretti (come può il fioco lumino della psicologia occidentale dar luce alle tenebre Dostoevskijane). Dostoevskij amava profondamente Cristo, si era salvato davanti ad un plotone di esecuzione all’ultimo minuto, per le sue idee liberali ed era stato deportato per sette anni in Siberia tra la peggiore feccia umana con la sola consolazione della bibbia e del nuovo Testamento, unico libro che potevano tenere, e lì analizzò l’animo umano nelle sue più profonde tenebre dove si celano i suoi demoni. (Delitto e castigo), è la storia di uno studente che uccide una vecchia usuraia e per sbaglio la sorella convinto che l’omicidio fatto dalla sola ragione per un suo fine utile sia senza colpa, (questo concetto sarà allargato a tutta la nuova società nascente, i Bolsceviki ,e l’avvento del socialismo ateo, nel romanzo i Demoni), dopo l’omicidio lo studente crollerà per il rimorso e convivrà con i suoi demoni fino all’incontro di una fanciulla prostituta, che per l’amore della sua famiglia che viveva in stato d’indigenza e in estrema povertà si prostituiva, in questa candida fanciulla troverà quella purezza di Cristo e tramite lei confesserà il peccato e pagherà la sua colpa e avrà la sua resurrezione. Il romanzo è molto complesso, oltre al tema dominante vi si aggirano figure umane di tutti i generi nella loro assoluta solitudine e disperazione, come in tutti i romanzi di Dostoevskij. Nei fratelli Karamazov, Dostoevskij riassume quasi tutto quello che aveva scritto nei suoi romanzi precedenti. La storia ruota su un parricidio commesso da uno dei suoi quattro figli: Dimitri, Ivan, Alioscia e il figliastro Smjerdjakov. Dimitri è la figura centrale del romanzo e incarna l’anima Russa, esagerata fino allo spasimo, sessualmente vorace, per ottenere quello che desidera è pronto a perdersi, ma è anche generoso e pronto a riscattarsi. Ivan, è l’uomo nuovo, ateo, nichilista è convinto che il peccato non esiste e che la ragione può per i suoi fini giustificare tutto, anche l’omicidio (e questo pensiero che per Dostoevskij era il male assoluto, la negazione di Cristo e la vittoria dei demoni sull’uomo e la loro perdizione); porteranno Ivan alla pazzia. Questi discorsi fatti da Ivan al fratellastro Smjerdjakov, debole di mente e rancoroso verso il padre che non l’aveva riconosciuto e lo faceva vivere da servo lo porteranno a commettere il parricidio che lo porterà come giuda al suicidio. Alioscia impersona la purezza, la mitezza, la veggenza della bontà, il profondo amore per l’umanità e ama i fratelli e tenta di salvarli dai loro demoni. Il padre è un vecchio vizioso che non ama nessuno se non il suo piacere, il suo amore per Gruscenka è di puro piacere e lotta con figlio Dimitri per averla, la sua corruzione è totale è un’anima sporca. Dostoevskij poneva Cristo al di sopra di tutto era l’unica via che il popolo Russo dopo mille anni di servilismo e di schiavitù della gleba con la loro profonda religione e amore per la figura del Cristo, potessero salvare la Russia dall’anima demoniaca del male. (Anche se la pura ragione mi dimostrasse che Cristo non esiste, io sceglierei sempre Cristo). Quando conobbi Victor Motko avevo ventisei anni, era il 1977 a Ladispoli dove vivo, ero sulla spiaggia e controluce vidi questo piccolo uomo dalla barba e i capelli lunghi e lanosi di colore nero, fui folgorato come San Paolo sulla via di Damasco. Da qui nacquero i quattro anni più intensi, disperati e felici di tutta la mia vita. Victor Motko, pittore, professore, dissidente Russo, amico di Sakharov e di (Juri Orlov fondatore del Moskow Helsinki Group), arrestato a Mosca nel 1976 e poi detenuto e torturato in un manicomio Psichiatrico, per avere manifestato per la libertà di pensiero e d’espressione, per la libertà religiosa e per i diritti umani allora calpestati nell’Unione Sovietica e costretto ad abbandonare la sua Russia che tanta amava: questo piccolo uomo dalla grande anima e dall’immensa cultura fu uno dei primi col suo sacrificio a contribuire a far cadere il muro di Berlino e a ridare a milioni di persone la libertà e quei diritti che fino allora erano stati calpestati. Victor, quando lo conobbi non sapevo che cosa era un’Icona, Le Sante Icone, fondamento di tutta la religione Ortodossa, in loro si rispecchia la verità del Cristo. Victor oltre ad essere un grande pittore d’Icone come Rublov che tanto amava, era profondamente religioso, il suo amore per Cristo era totale e in questo amore si rispecchiava tutto il suo amore per la Russia antica, che sempre ha rappresentato nei suoi dipinti, da esule, da fuori uscito e anche in questi dipinti traspare la sua profonda religiosità. Mille anni di storia Russa, fino all’avvento della rivoluzione Bolscevica che in un attimo spazzò quell’immenso patrimonio culturale etico e religioso che sotto la sua trinità: Cristo, lo Zar e il popolo si era costruito dando all’anima Russa quella peculiarità che i suoi pittori, poeti, romanzieri, musicisti e registi hanno così ben descritto. Quest’anima millenaria era incarnata nell’anima di Victor. I primi tempi che ci conoscevamo, Victor aveva grandi progetti, Mario voglio andare in Egitto per studiarne l’arte, poi a Parigi in Olanda per vedere Van Gogh, il suo amato Van Gogh, voleva girare il mondo, doveva andare in America come tutti i suoi compagni dissidenti che stavano in aspettativa qui a Ladispoli per i documenti necessari per poter essere accettati dagli Americani e invece è stato sempre con me per più di cinque anni. In questi cinque anni, l’anima di Victor si fece sempre più disperata, la sua nostalgia della Russia fu totale, ossessiva, disperata e questa disperazione lo portava a bere in modo assurdo e ad essere completamente in balia degli altri, indifeso come un bambino fino a portarlo alla pazzia, alla malattia; un giorno mi disse, Mario sei come San Tommaso se non vedi non credi, quando non avrai più Victor ne avrai grande nostalgia, a quasi sessant’anni non è passato un giorno che la figura di Victor non sia riflessa nella mia mente e nella mia anima (e l’anima mia è triste fino alla morte). Non vedo più Victor dalla Pasqua del 1981, quando ormai malato mi venne a cercare a casa e non trovandomi si arrabbiò, andò alla stazione di Ladispoli ruppe un vetro e lo portarono alle carceri di Civitavecchia e da quel giorno non lo vidi mai più. Dieci anni dopo, (Era) Gorbaciov, andai alla ambasciata Sovietica di Roma, l’addetto culturale di allora fece delle ricerche, ma in Russia non era rientrato. Victor, penso, sia morto malato in qualche ospedale e messo in una fossa comune, desaparecidos, sorte toccata a quasi tutti i grandi geni: (Leopardi, Mozart, Leonardo ecc ). L’allegria è un passero di breve volo. Un passero lascia sulla neve una lieve traccia che il vento cancella subito. Il dolore è un aratro che sconvolge la terra per le messi future (Marina Cvetaeva). E il dolore è stato il compagno fedele di Victor e la sua allegria di breve volo ed io all’età di trent’anni rimasi di nuovo orfano e quel vuoto nel cosmo Pasoliniano, venne riempito dai fantasmi della morte, della tragedia, attraverso la memoria, la desolata memoria di ciò che è stato e non tornerà mai più e la malattia della vita fu sovrana.
I due film Pasoliniani dove non c’è nulla di religioso sono: Porcile e Salò, quando Pasolini in questi film affronta il tema della borghesia e del potere, in questo tema non c’è nulla di religioso, ed è questa mancanza di religiosità che rende sterile e infelice la Borghesia e il potere che si accanisce contro chi è diverso da lui per pura malvagità, perché essendo lui infelice vuol rendere infelici tutti gli altri, l’intero mondo. In Porcile il tema è quella del nuovo potere che abbandona il vecchio potere per costruire un altro, dominante e di puro consumo servendosi dei figli e illudendoli che la loro rivoluzione, la trasgressione, il loro abbandono di tutto il tempo antico e passato, potesse dargli un nuovo mondo, un mondo giusto (Il sessantotto), distruggendo se stessi hanno solo favorito il potere che li ha sfruttati per i loro fini. Qui il figlio ribelle che analizza tutto questo, si farà mangiare dai porci e di lui non rimarrà nulla neanche la memoria, perché chi non si integra nel potere deve essere eliminato, così che gli operai non sappiano nulla. Il film ha molti altri temi come il deserto e i ladroni che mangiano carne umana ma sono liberi a contrasto delle sequenze moderne, il paragone è sempre tutto Pasoliniano, la metastoria, la nuova preistoria che cancella la storia e anche in questo tema non c’è nulla di religioso, c’è la barbarie come puro atto dell’esistere, come rivolta fine a se stessa.
Salò, film terribile demoniaco senza ombra di nessuna religiosità, il nuovo potere si è costituito, tutto il mondo antico è stato cancellato i duemila anni di storia sono stati sepolti e al loro posto, l’uomo nuovo è un oggetto vuoto, dedito al consumo, arido, un nulla vivente, e così viene martirizzato, brutalizzato sodomizzato, flagellato e condannato senza nessun appello come nel (processo di Kafka) nelle sequenze dei gironi. Solo nel grido (Dio perché ci hai abbandonato), come Cristo sulla croce gridò, ma anche qui non c’è nulla di religioso è un grido arido, vuoto di sola sofferenza, come tutto il film è tutta un’inquadratura di dolore, di sofferenza, di vuoto, dove ogni speranza viene cancellata. Il film è terribile, che la mia coscienza e la mia dignità d’uomo non può accettare, ma rappresenta ogni sopruso, ogni prevaricazione, ogni tortura, ogni sfruttamento che l’uomo fa sull’uomo e il demone Dostoevskijano è ben rappresentato fino a far dire a David Maria Turoldo, che sulla terra non ci rimanga neanche più un lichene.
San Paolo, ne rimane la sceneggiatura, il film non fu mai realizzarlo, ma fu profetico quarant’anni dopo un Afro Americano viene eletto alla presidenza degli Stati Uniti, votato dalla stragrande maggioranza del popolo Americano composto da tutte le razze del mondo. E questo ha dimostrato la vera natura democratica dell’America e che le cose nel mondo possono cambiare lentamente. ylenia Carrisi poetessa, ho scritto per lei il monologo dell’amore e della sua solitudine, come Alban Berg scrisse per la figlia di Alma Mahler il famoso concerto per violino (in memoria di un angelo). Io sono un Poeta, l’epigone della poesia italiana, perché questo grande dono che ha brillato fin dalla nascita nell’anima dell’uomo è stato divorato, (il conte Ugolino, Mario pozzi). Ho ereditato da tutti i grandi poeti Italiani che mi hanno preceduto il loro sapere, il loro essere, la loro spiritualità, la cognizione della vita e della morte e la loro infinita bellezza, i loro sogni e la loro tristezza, il loro dolore. ylenia questa bellissima ragazza, che aveva studiato nelle più prestigiose scuole occidentali, colta, dall’intelligenza particolare, innamorata di Kerouac, inquieta, come tutte le grandi anime, stava scrivendo un libro sugli Afro Americani e questo fu un altro presagio della presidenza di Obama; il suo dolore, la sua tristezza, la sua inquietudine, il suo non adattamento alla vita reale l’hanno portata a soli 24 anni al suicidio, secondo una guardia Americana che la vide gettarsi nel fiume. Anima che io accosto alla mia amata Antonia. Antonia Pozzi, la più grande poetessa del novecento Italiano anche lei morta suicida a soli ventisei anni. La poesia “Il porto” di Antonia Pozzi, rispecchia appieno l’animo di questi due dolci angeli. Tornando al San Paolo, Pasolini riprende il tema del Vangelo, lo spirito rivoluzionario di Paolo che con il suo predicare e il suo messaggio farà crollare tutto il mondo antico, l’idea era di portare la vita di Paolo ai tempi d’oggi, così da spostare il panorama dove aveva vissuto Paolo: Atene, Roma, Gerusalemme, Antiochia , in quello attuale New York, Parigi, Londra, Roma. Nella prima stesura San Paolo doveva morire in una grande strada di una periferia di queste immense città, tra l’indifferenza della gente, incurante del suo martirio, acida, nemica, senza speranza nelle loro aridità, il messaggio doveva essere che in questo caos, (era tornata la parola di Dio). Poi col viaggio in America, a New York e la sua discesa ad Harlem, si schierò con gli Afro Americani e tornarono i temi del Vangelo: povertà, sfruttamento, segregazione, emarginazione. E Pasolini si rifece alla figura di Martin Luther King, e San paolo verrà ucciso in una piccola stanza di un anonimo albergo da un killer.
La trilogia della vita è un inno a tutto il mondo passato, tramite le opere del Boccaccio, di Chaucer e le Mille e una notte, rappresentò la vita attraverso la gioia della sessualità, la religiosità della sessualità, fonte dominante di tutta l’evoluzione umana. Questa trilogia è un inno alla religiosità della vita e al suo modo di concepirla, prima dell’avvento del consumismo, ad un mondo ormai scomparso e che non tornerà mai più. L’impegno sociale di Pasolini lo portò ad abiurare la trilogia, perché all’epoca furono rappresentati film di bassa lega sulla scia della trilogia e per paura di essere sfruttato l’abiurò, con una lunga accusa al mondo consumistico e al suo edonismo. L’usignolo della chiesa cattolica, dolcissimo libro immerso nella storia d’una Casarsa ancestrale, mitica come era L’Italia prima della guerra, con il tempo immoto, coronato dalle dolcissime stagioni, dai vespri, dalle aurore e dai i suoi rossori dolci come gli aprili, le sere dorate, i ruscelli e le fontane e i dolcissimi sospiri in una natura intatta, unica gioia della vita. La scoperta della sua sessualità e del suo peccato(l’omosessualità), l’ombra insaziabile della madre e la dolce figura del Cristo come redentore, infine la scoperta del marxismo ( ma, Pasolini inconsciamente non fu mai né Marxista né comunista, la sua visione del popolo era populista, umana, e vedeva nella natura il silenzio del sacro, dettata dalla sua cultura classica). Le ceneri di Gramsci, la religione del mio tempo, Poesie in forma di rosa, il mondo del dopo guerra e il popolo italiano e i paesaggi della nostra terra, che uscivano da una guerra devastante ma rimanevano intatti nella sua storia e nella sua profonda bellezza. In questi libri di profonda poesia c’è tutta la religiosità Pasoliniana e l’amore ancestrale per questa nostra Italia che duemila anni di storia ne fecero qualcosa di unico al modo. Poesia eccelsa, descrittiva, intimamente disvelata, da rendere questo poeta un gigante, un unico nella poesia Italiana. In questa poesia c’è qualcosa di veramente sacrale e profondamente vivo c’è la vita, chi è nato nella preistoria, nella non storia, non può minimante sapere né sentire quel tempo mitico dove la vita bastava a se stessa e la sua sessualità era incontaminata come le stagioni, le pure stagioni, dove i sogni ci accompagnavano nello svelarsi della vita. Io, sono un poeta ermetico, un poeta visionario, un poeta della memoria come lo era il Petrarca e il Leopardi, ho amato la poesia pura, amandola ho amato la vita e la dignità umana. La mia poesia e totalmente diversa da quella Pasoliniana, è una poesia complessa tutta interiore e di memoria ereditata dai nostri grandi poeti intimi, posseduta dall’amore per la donna e dalla sua sessualità che ne rende il mistero, il mistero del nostro vivere, del nostro disvelare del tempo, nel susseguirsi della stagioni e dei suoi inni, nel gorgo dei ricordi e dei suoi gridi persi nell’infinito, nel tempo cosmico totalmente differente dal tempo umano, tempo soggettivo al nostro sentire, al nostro percepire, al suo mistero che si cela dietro il paesaggio e il richiamo della natura come forza naturale, come madre che è lontana dal nostro sentire dandoci quella solitudine e inquietudine del nostro vivere, che solo l’amore può alleviare; è la poesia del sogno che diventa reale attraverso l’esprimersi della vita.
Caldoròn fa parte delle sei tragedie che Pasolini scrisse in brevissimo tempo, quando fu costretto per un’ulcera a stare sei mesi a letto. Teatro di poesia lo definì, teatro di parola come quello Greco: (Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia , Bestia da stile). La vita è un sogno (Calderòn de la barca), la vita non sta in un sogno solo ma in tanti sogni (Pier Paolo Pasolini), la vita sta in tanti sogni ma porta sempre a un sogno solo (Mario Pozzi). Calderòn, è il sogno di Rosaura che si sveglierà in tre luoghi diversi, i primi due da ricca passerà proletaria due sogni del mondo antico, due sogni quando ancora era permesso il risveglio, nel terzo sogno nel nuovo mondo consumistico, Rosaura non può più svegliarsi, perché quel mondo lo può solo sognare. Questa favola dolcissima vuol dire, che con l’avvento del consumismo i sogni sono diventati incubi. L’incubo del mondo moderno e del suo non saper vivere e il suo stravolgimento di ogni cosa naturale, la perdita dei nostri valori della nostra ricchezza, l’uccisione della poesia. Il tramonto dei sogni, (l’ultima delle mie raccolte di poesia) è l’ultimo guizzo della giovinezza ritrovata, dove (il non potrò più smemorarmi in un grido), Giuseppe Ungaretti, rivive come un sogno sulla frattura del giorno e della notte. E poi? La Poesia Italiana è alla sua fine con tutto ciò che essa contiene. Forse i nostri figli (dall’eco d’una età sepolta), Pier paolo Pasolini, ricostruiranno in un altro sogno la nostra eredità. Se il seme che cade nella terra non muore non rinascerà! (Mario Pozzi 1990).
Tutto finisce dove tutto comincia, la morte di Pier Paolo Pasolini, è stata una tragedia per il popolo Italiano, denigrato e perseguitato per quasi tutta la sua vita adulta, col solo mezzo della parola (le poesie, i romanzi sono parole scritte i suoi film, parole d’immagini), ha tenuto viva la cultura Italiana per oltre trent’anni, destando la partecipazione alla sua lotta migliaia di persone. La coscienza Italiana col benestare di tutta la pseudo intelligenza , le classi di partito e non solo si era acquietata, il frocio era stato ammazzato, ora potevano dormire tranquilli, lo specchio dove vedevano riflessa la loro vera immagine non c’era più. Era stato trucidato, flagellato come Cristo, più di duemila anni fa. Questo grande poeta che fu la coscienza della nostra società decadente, fu crocifisso, il suo martirio come quello di Cristo, pesa sulla coscienza nazionale, come la morte di Garzìa Lorca in Spagna, e di tutti i poeti che sono stati trucidati nei campi di concentramento di Hitler, o nei gulag Sovietici (Opis Mandel’stam), o di ogni uomo libero che con la sola parola esprime le sue idee. La morte non sta nel non comunicare, ma nel non essere compresi, (Pier Paolo Pasolini.
Mario Pozzi - 2010
Fonte:

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

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