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sabato 27 aprile 2013

Pasolini, Totò e Uccellacci e uccellini.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Uccellacci e uccellini


Subito dopo il gran successo di pubblico su scala internazionale de Il Vangelo secondo Matteo, nell’Aprile-Maggio del 1964 Pasolini ritorna all’opera pubblicando, sul settimanale "Vie Nuove", un soggetto cinematografico strutturato in tre principali episodi, intitolati: L’Aigle, Faucons et Moineaux e le Corbeau. Si tratta di tre favole, ognuna con un tema diverso.
L’Aigle racconta di un domatore francese (Monsieur Courneau) che cerca di ammaestrare un’aquila senza riuscirvi: la chiave di lettura di tale episodio è da ricercare nelle critiche che precedentemente erano state mosse, al Vangelo, da Michel Cournot, intellettuale francese e critico della Nouvelle Vague. Nell’episodio Cournot è il domatore esasperato e, l’aquila è il "Terzo mondo", l’irrazionalità che non si lascia "civilizzare" dall’intellettuale laico, convinto che tutto ciò che è difforme debba essere assimilato in relazione ai propri parametri. In L’Aigle, Pasolini mette a confronto la razionalità e la magia, elementi che si traducono nell’incontro-scontro tra la cultura moderna e la cultura "preistorica" del Terzo mondo. Come afferma Serafino Murri, Pasolini in questo periodo <<sembra essere mosso da un terzomondismo un po’ guevariano un po’ sartiano>>.
Faucons et Moineaux parla di due fraticelli impegnati, su ordine di S. Francesco, a convertire falchi e passeretti alla parola di Dio; riusciti in un primo momento nell’intento rimangono sbalorditi di come poi, nonostante tutto, i falchi continuino a predare i passeri e come nulla possano fare per evitarlo.
Le Corbeau racconta, invece, le vicissitudini di padre e figlio che camminano verso non si sa dove accompagnati da un corvo filo-marxista molto loquace.
Pasolini realizza tutti e tre gli episodi succitati, ma, in sede di montaggio, decide di eliminare il primo e di incorporare il secondo nel terzo come un racconto proferito durante il viaggio dal Corvo. La presenza di Totò ha grande rilevanza nell’intero film: da Pasolini viene utilizzato nei tre episodi come domatore-frate anziano e padre viandante.
Nei primi giorni di lavorazione di "Uccellacci" dilagava una perplessità reciproca tra Totò e Pasolini. Da un lato Totò, a riprese del film inoltrate, non riusciva a capire bene quali fossero le reali intenzioni dell’autore, dall’ altro Pasolini faceva fatica a contenere la personalità dell’attore dal quale non riceveva quel totale abbandono che richiedeva. La stima reciproca che legava i due fece sì che i lavori proseguissero senza intoppi: la situazione migliorò nel corso delle riprese e il film fu terminato.
Innocenti Totò e Innocenti Ninetto, padre e figlio, camminano lungo una desolata e anonima periferia. Entrano nel baretto di una stazione delle corriere. Totò beve qualcosa, Ninetto si scatena con alcuni ragazzi in un ballo moderno suonato dal juke-box. Se ne vanno. Davanti ad una casa è radunata una piccola folla dall’aria mesta. Totò si ferma incuriosito a guardare. Ninetto va ad incontrare una ragazza, che trova vestita da angelo, mentre si sta preparando a una recita religiosa. Poi torna dal padre, insieme al quale assiste ad uno spettacolo terribile: vengono trasportati in quel momento fuori dalla casa i cadaveri di due coniugi, suicidi, si sussurra nella folla, per disperazione.
Camminando su un’autostrada in costruzione, padre e figlio incontrano un corvo parlante, che chiede se può accompagnarli nel loro viaggio. Totò e Ninetto accettano la compagnia del corvo, che da questo momento comincia ad assillarli di domande. L’istinto pedagogico spinge il corvo a raccontare un apologo cristiano-marxista: la storia di uccellacci e uccellini.
Secolo XIII. Campagna umbra. Totò e Ninetto sono frate Ciccillo e frate Ninetto. S. Francesco li incarica di evangelizzare gli uccelli. I due frati si incamminano e trovano per primi i falchi.Frate Ciccillo dopo vani tentativi, riesce a trovare finalmente il modo di comunicare con loro. I falchi lo capiscono. Poi tocca ai passeri. Saltellando nel loro linguaggio, Frate Ciccillo predica la pace e l’amore. La missione è compiuta ma all’improvviso un falco assale e uccide un passero sotto gli occhi increduli dei due fraticelli. Tornano da S. Francesco sconfitti e delusi ma il Santo, dopo averli incoraggiati, li invita a ritentare e a riprendere il cammino. Totò e Ninetto continuano a camminare e incontrano nuove avventure. Trasgrediscono le leggi della proprietà privata, assistono allo spettacolo di una troupe di saltimbanchi e, arrivati davanti a un povero casolare, Totò, per nulla impietosito dallo spettacolo di miseria che gli si presenta davanti, minaccia di sfratto i suoi poveri inquilini che da tempo non pagano l’affitto. Subito dopo Totò e Ninetto giungono in una lussuosa villa per un colloquio con un ingegnere col quale i due hanno dei debiti. Anche qui l’ingegnere non si fa impietosire e gli aizza i cani contro.
Il corvo, assistendo a tutti questi avvenimenti, puntualmente li commenta, con il suo consueto e tedioso moralismo marxista. Totò e Ninetto prendono l’autobus e vanno a Roma dove assistono ai solenni funerali di Togliatti.Lungo la strada incontrano una prostituta, Luna, con la quale fanno l’amore a turno in un campo. Il corvo continua a parlare mentre Totò e Ninetto, stufi e affamati, lo ammazzano e lo mangiano. Riprendono il cammino. Si allontanano di spalle lungo una strada bianca come nei finali delle comiche di Charlot.
Uccellacci e uccellini s’inserisce in una fase dell’ attività artistica di Pasolini che potremmo definire del "cinema ideologico", di cui avevamo avuto già prova ne Il Vangelo. Ma se in quello, l’attenzione era concentrata sull’ideologia cristiana (predicatoria oseremmo dire), "Uccellacci" è permeato di ideologia politica, legata al malessere di Pasolini per una società destinata alla deriva.
Tale concezione di cinema s’insinua in un periodo storico (la metà degli anni ’60) che vede la nascita dei cosiddetti "film della crisi" legati alla scomparsa di Togliatti. Il "cinema ideologico" di Pasolini fa da ponte tra la fase del "cinema di borgata" (che comprende Accattone, Mamma Roma e La Ricotta) e la fase del "cinema del mito"(che va da Edipo Re a Medea).
Nel film si avverte il profondo senso di disillusione che il regista prova nei confronti dei partiti marxisti, italiani e non. Infatti, come egli stesso ha affermato, non intende una crisi del marxismo, ma proprio una crisi dei partiti marxisti, per quanto questa distinzione sia lecita. Questa svolta ideologico-politica raggiunge il suo punto di maggiore espressione con la pubblicazione della raccolta Poesia in forma di rosa nella quale possiamo leggere affermazioni come: "La rivoluzione non è più che un sentimento".
Per Pasolini oramai sono passati i tempi in cui era possibile sperare in una rivoluzione e, "l’entusiasmo civile per la resistenza antifascista è oramai solo un ricordo".
La morte di tali illusioni coincide, nel film, con i funerali di Palmiro Togliatti: la morte di quell’ideologia che il leader del P.C.I. rappresentava. Pasolini monta materiale di repertorio, proponendo quindi i volti realmente disperati di chi assistette alle cerimonie. Senza dubbio, l’autore riesce a connotare di tragicità tale sequenza rendendola la parte più significativa e triste dell’intero film.
Di certo il suo pessimismo (perché è di pessimismo che si deve parlare), non è un "pessimismo cosmico leopardiano": spera, in cuor suo, che si possa prima o poi attuare quella "rivoluzione delle coscienze" che permetterebbe di capovolgere la situazione di impasse nella quale la società del periodo pare essersi adagiata.
Alla luce di tutto ciò, quindi, il regista bolognese arriva a Uccellacci e uccellini al termine di un processo ideologico individuale che lo vede ormai quasi rassegnato. Egli non può fare altro che constatare che la società che lo circonda è irrimediabilmente destinata ad assecondare il conformismo. Tema centrale quindi è la denuncia alla dilagante omologazione a cui si sta assistendo che produce in Pasolini non solo una crisi ideologica ma anche una crisi espressiva. Ed è proprio su questo che si avvertono le principali conseguenze: per comunicare decide di scegliere la favola, <<che è astorica per definizione>>, quasi a volersi astrarre dal contesto, allontanare dalla realtà.
Pasolini cerca, attraverso il cinema di utilizzare un linguaggio (cinema che egli stesso definirà "linguaggio della realtà"), più legato all’elemento visivo, più metaforico: che inevitabilmente paga dazio alla comprensibilità, ma che aggira l’omologante lingua della borghesia. Ed è per questo che "Uccellacci" di primo acchitto sembra di difficile soluzione, così pregno di metafore, sostrati ideologici e sottili ironie.
I protagonisti di questa "incomunicabilità" sono i protagonisti del film: Totò, Ninetto e il Corvo.
E’ facile rendersi conto di come in realtà non venga mai a crearsi un dialogo significativo tra Totò e Ninetto da una parte, e il Corvo dall’altra: sembrano parare lingue diverse. Totò e Ninetto sono i rappresentanti del proletariato, estranei alla storia e, <<Innocenti di cognome e di fatto, camminano ignari verso un avvenire che la dottrina comunista non è più in grado di delineare>>.
Ma i due protagonisti non hanno solo connotazioni negative, ma portano con sé un bagaglio di speranza: <<l’irrefrenabile vitalità di Totò e Ninetto è la sola via possibile per uscire dallo stato d’inerzia causato dalla predicazione ideologica affinché, nuovamente, fioriscano "i garofani rossi della speranza">>.
I due hanno fisionomie opposte e al tempo stesso complementari, rimandano a due differenti modi di essere e a due generazioni: il giovane e il vecchio, il romano e il napoletano, il cittadino e il campagnolo.
Pasolini decide di utilizzare Totò per cercare di sfruttarne il codice gestuale tipico della maschera comica: è evidente, in tal senso, l’intenzione del regista bolognese, di connotare di allegria e spensieratezza la figura del sottoproletario.
Il Corvo, invece, << viene da lontano, dal paese Ideologia, abitante nella città del futuro, in via Carlo Marx, al numero 70 volte 7, figlio del sig. Dubbio e della Sig.ra Coscienza>> . Ben presto ci rendiamo conto di come il Corvo possa essere considerato il protagonista implicito del film. E’ l’intellettuale marxista, l’incarnazione dell’ideologia, che sta attraversando una profonda crisi: una crisi che sta portando i sostenitori di tali ideologie a ripiegare in comportamenti sempre meno distinguibili da quelli dell’ "infima borghesia" a riprova della dilagante omologazione alla quale si sta assistendo. E’ possibile identificare nelle spoglie del Corvo lo stesso Pasolini e la sua ideologia, anche se egli cercò, già in fase di realizzazione, di prenderne le distanze: <<Dovevo staccare il marxismo del Corvo dal mio, […] doveva essere cosciente della crisi del marxismo ma con delle ragioni che non fossero strettamente le mie>>.
Il Corvo è "cosciente" della sua fine e cerca di lanciare spunti per un ideologia che rinasca dalla fine del pensiero marxista ed è convinto al tempo stesso della sua "sconfitta pedagogica" nei confronti di Totò e Ninetto (elemento che ritroviamo in chiave metaforica anche nella sconfitta di frate Ciccillo nel suo tentativo di ammaestrare i falchi e i passeretti).
Il "racconto del Corvo", che è possibile considerare come il quinto mediometraggio di Pasolini, può essere interpretato, in chiave metaforica, come l’analisi del tema della lotta di classe, molto caro all’autore.
I falchi e i passeretti rappresentano gli sfruttatori e gli sfruttati: ma la connotazione favolistica del film porta, inevitabilmente a una semplificazione binaria del mondo con la distinzione dell’esistenza nel creato di buoni e cattivi, oppressori e oppressi. Ma la denuncia vera e propria nei confronti della società classista che va sviluppandosi, Pasolini la realizza in alcune sequenze centrali del film: Totò dapprima è oppressore nei confronti di poveri contadini, impossibilitati a pagare l’affitto e costretti a tenere a letto i propri figli poiché non possono dar loro da mangiare e, successivamente, è oppresso dai debiti con l’ingegnere e dai cani feroci dello stesso.
Il regista inserisce un nuovo concetto della lotta di classe che abbraccia non solo la dottrina marxista ma anche l’induismo e il cattolicesimo. Nell’episodio del proprietario pestato da Totò e Ninetto, Pasolini, attraverso le parole del Corvo ribadisce il dogma dell’abolizione della proprietà privata senza l’utilizzo della violenza: <<Bisogna sempre vincere con la non violenza, come Gandhi!, conciliando la rivoluzione comunista e il Vangelo>>.
Guardando il film in un’altra ottica, possiamo notare come si vengano a delineare due itinerari: quelli dei bisogni corporei e quelli degli aspetti fisici dell’esistenza.
Il primo è un percorso che passa dalle feci alla fame e al sesso, il secondo va dalla nascita alla miseria alla morte. In Uccellacci l’elemento della fisicità è ridondante, si esprime attraverso varie forme: dai dolori al ventre che spingono Totò e Ninetto a defecare, al parto "in diretta" dell’attrice durante lo spettacolo, all’aggressione subita dai pastori tedeschi, fino ad arrivare ai rapporti dei protagonisti con una prostituta e all’uccisione del Corvo. <<All’astratto simbolismo delle parole del Corvo influenzate dall’ideologia si contrappone, l’impellente materialità del corpo proletario schiavo delle sue necessità>>.
Ma il viaggio dei protagonisti incrocia tantissimi altri elementi di forza metaforica: Totò e Ninetto percorrono una strada che simboleggia la loro vita, senza uno scopo, senza una destinazione. Il contesto che li circonda è semidistrutto: vi regnano le macerie, createsi in seguito al crollo delle ideologie, che non lasciano speranze di ricostruzione e di rinascita. Il cielo di tanto in tanto è solcato da aerei rumorosissimi a riprova del crescente e "omologante" progresso al quale si sta assistendo e, gli autobus vengono continuamente persi a simboleggiare l’ormai svanita possibilità di rivoluzione. Lungo le strade sterrate ritroviamo segnali impossibili (come Istanbul Km. 4.253 o Cuba Km. 13.257) attraverso i quali Pasolini fa sentire la presenza del Terzo Mondo e vie improbabili (come via Benito La lacrima Disoccupato o via Lillo Strappalenzuola scappato di casa a 12 anni) <<come lapidi alla memoria di personaggi che non ci sono più>>.
Con Uccellacci e Uccellini si chiude, per Pasolini, il sogno di poter parlare a tutti: adotta un linguaggio metaforico e al tempo stesso ironico,un’ironia che s’insinua nella narrazione stessa. Stilisticamente, il film rappresenta una vera e propria svolta nel cinema pasoliniano che fino a " Il Vangelo" era stato dominato da una mescolanza di elementi a volte anche contrastanti. <<In Uccellacci pervade l’ideologia, scompare il vezzo/vizio/virtù>>, che lascia spazio ad una surreale comicità.
In molti tratti del film la lingua e lo stile che vengono adottati sono quelli del cinema muto classico: ricordiamo la lotta tra Totò e Ninetto e i contadini del campo o, ancora, la battaglia a torte in faccia. Per Pasolini la vera comicità è quella del cinema muto: quella di Chaplin e di Keaton. Totò gli permette, in questo senso, di recuperare tale comicità, essendo per lo stesso regista <<il più vigoroso tra i mimi comici>> .
Ma Uccellacci ha anche connnivenze con "Francesco Giullare di Dio" di Rossellini nonostante Pasolini, constatasse che il neorealismo non doveva essere considerato come una <<rigenerazione>> del cinema ma come una vera e propria <<crisi vitale>>.
Pasolini definirà questo suo nuovo modo di fare cinema "cinema d’èlite": egli si rivolge non alla tipica èlite d’intellettuali ma ad un’èlite che è la massa che necessita di essere disomologata.
Con Uccellacci prende avvio una proficua collaborazione del regista bolognese con Ennio Morricone, il quale musicò buona parte del film e collaborò per molti altri film successivi. Oltre a realizzare un blues rielaborò due opere mozartiane tratte dal "Flauto Magico" (duetto Papageno-Pamina e Aria di Sarastro) e la canzone partigiana di origine russa, "Fischia il vento".
L’opera di Pasolini ebbe parecchi problemi dal punto di vista giudiziario. La censura ne vietò la visione ai minori di diciotto anni (solo in seguito si ebbe una riduzione del decreto ai minori di quattordici). Ma la critica più veemente venne proprio da quella sinistra italiana che non tollerò l’atteggiamento disfattista dell’autore e che portò a una completa rottura tra lo stesso Pasolini e il P.C.I.
Ma, quasi contemporaneamente, il film fu presentato a Cannes dove fu accolto con trionfo e dove Totò ricevette una menzione speciale per la sua interpretazione.
Da molti definito film unico della cinematografia italiana, Uccellacci e uccellini se pecca di qualcosa pecca di complessità ideologica, come afferma lo stesso Pasolini: <<L’atroce amarezza dell’ideologia sottostante al film […] ha finito forse col prevalere e, evidentemente […] tale amarezza mi ha impedito di vedere le cose e gli uomini con lo sguardo allegro e leggero del perdono>>.


PER UN CINEMA IDEOLOGICO E SURREALE a cura di Lorenzo Mirizzi


Fonte:
http://www.antoniodecurtis.org/pier_paolo_pasolini.htm


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Curatore, Bruno Esposito

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