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martedì 23 aprile 2013

Pasolini, la scelta degli attori - Pasolini e Totò.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pasolini, la scelta degli attori
Pasolini e Totò.


Pier Paolo Pasolini arriva a Roma agli inizi degli anni ’50 dopo aver vissuto varie vicissitudini a Casarsa, luogo in cui fino a quel momento aveva lavorato come poeta prima e pittore poi. La sua è stata una vera e propria fuga dai problemi familiari, economici e di emarginazione legati alla sua omosessualità. A Roma entra in contatto con l’ambiente del cinema grazie a Mario Soldati. Dapprima lavora come attore-comparsa, poi come soggettista e sceneggiatore. Completamente impreparato tecnicamente, nel 1960 matura la decisione di diventare egli stesso regista: << Se mi sono deciso a fare dei film- afferma- è perché ho voluto farli così esattamente come scrivo delle poesie, come scrivo i romanzi>>. Il suo bisogno nasce principalmente dall’intenzione di voler parlare in un codice diverso: parte dalla consapevolezza della grande crisi storica, sociale e culturale del nostro paese e trova nel codice audiovisivo del cinema il mezzo migliore per poter esprimere poeticamente i suoi temi fondamentali.
Per Pasolini il cinema è strettamente legato alla realtà, ma ciò non deve essere inteso in senso naturalistico. Il suo cinema ha connivenze con la poesia e l’astrazione tanto che lo definirà "cinema di Poesia". Egli, infatti, ci propone attraverso una <<sistemazione teorica subspecie semiologica del nuovo cinema in Italia>> , una distinzione sostanziale tra "cinema di prosa" che si identifica nel cinema classico, e "cinema di poesia" in cui l’autore-regista svolge un ruolo predominante, esibendo i propri mezzi stilistici. Alla luce di tutto questo, definisce il cinema "lingua scritta dell’azione" poiché il regista a differenza dello scrittore non ha un dizionario al quale attingere e inevitabilmente per poter comunicare dovrà cogliere i segni della realtà che lo circonda. Ma c’è di più: noi tutti viviamo immersi in un mondo in cui vi sono immagini significanti, quelle che Pasolini definisce im-segni, e compito del regista, quindi, è quello di cogliere i suoi im-segni dalla realtà.
Interessante è, in quest’ottica, andare ad analizzare i criteri di scelta degli attori del regista bolognese.
<<Io ho una specie di idiosincrasia per gli attori professionisti. Non ho, però, sia ben chiaro, una prevenzione totale, e ciò perché non voglio sottoporre la mia attività a delle regole precise […] La mia idiosincrasia dipende dal fatto che, un’attore professionista è un’altra coscienza che si aggiunge alla mia>>.
Sicuramente si può dire che Pasolini nella scelta degli attori dei suoi film abbia avuto una certa propensione per la non professionalità: ma tale scelta rientra nella concezione tutta pasoliniana del cinema come esperienza poetica volta a superare costrizioni o regole di ogni sorta. <<L’autore deve essere l’unico protagonista con la sua poesia in forma di cinema e lo spettatore deve essere in grado di coglierla. In questo contesto Pasolini chiede ai propri attori non una collaborazione, ma un totale abbandono, di modo che possa plasmare le figure presenti nel film secondo la propria visione>>. Da ciò deriva che un attore professionista , essendo di fatto meno "plasmabile" in relazione alle scelte dell’artista-poeta, mal si adatta al cinema di poesia.
Nonostante questo, Pasolini, in molti dei suoi film ha lavorato con attori professionisti: ricordiamo la Magnani in Mamma Roma (1962), Silvana Mangano e Massimo Girotti in Teorema (1968), Maria Callas in Medea (1969), Orson Welles in La Ricotta (1963). C’è da dire che perlopiù sono state scelte imposte dai produttori che egli non ha gradito molto.
Un discorso a parte va certamente fatto per la scelta di Totò in Uccellacci e Uccellini (1965). Lo stesso Pasolini afferma: <<La mia ambizione era proprio quella di strappare Totò al codice, cioè decodificarlo. Qual’era il codice attraverso cui si poteva interpretare Totò allora? Era il codice del comportamento dell’infimo borghese italiano, dell’infima borghesia portata alle sue estreme espressioni di volgarità e aggressività [..] Il mio Totò è quasi tenero e indifeso come un implume, è sempre pieno di dolcezza , di povertà fisica, direi, non fa le boccacce dietro a nessuno>>.
Pasolini realizza una vera e propria trasformazione di Totò-attore non senza polemiche. Totò, come uomo, risultava un piccolo borghese, ma come artista era inscindibile dalla cultura napoletana sottoproletaria. Egli portava in scena una sorta di cliché di se stesso, il clown, la maschera. Ed è stata proprio questa doppia natura di sottoproletario e insieme semplice clown ad aver spinto Pasolini alla scelta di Totò. Coerente alla sua visione del cinema, il regista bolognese, ha scelto Totò per come esattamente è, alla stessa maniera di come avrebbe preso un non professionista (elemento che è possibile rilevare nella scelta di Ninetto Davoli). <<Quindi quando dico Totò nella sua realtà intendo Totò nella sua realtà di uomo, e aggiungo anche di attore>>.
Totò attraverso la collaborazione con Pasolini, dimostra di essere un grande attore: viene chiamato a un ruolo che riesce a svolgere con grande maestria; la stima reciproca che si stabilisce tra attore e regista, farà si che dopo Uccellacci e Uccellini del 1965, Totò torni a lavorare con Pasolini anche in altri due episodi, La terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole? rispettivamente relativi ai film Le streghe e Capriccio all’italiana nei quali interpreterà, ancora una volta, ruoli impegnativi e problematici.


PER UN CINEMA IDEOLOGICO E SURREALE 
a cura di Lorenzo Mirizzi

Fonte:
http://www.antoniodecurtis.org/pier_paolo_pasolini.htm

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Curatore, Bruno Esposito

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