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sabato 26 dicembre 2020

La Trilogia della vita 13) - Il Genocidio, l’Abiura e Salò - di Pier Paolo Pasolini

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 





La Trilogia della vita

Il Genocidio, l’Abiura e Salò.

"Essi non hanno nessuna luce negli occhi: i lineamenti sono i lineamenti contraffatti di automi, senza che niente di personale li caratterizzi dentro. La stereotipia li rende infidi. Il loro silenzio può precedere una trepida domanda di aiuto (che aiuto?) o può precedere una coltellata. Essi non hanno più la padronanza dei loro atti, si direbbe dei loro muscoli. […] Sono regrediti – sotto l’aspetto esteriore di una maggiore educazione scolastica e di una migliorata condizione di vita – a una rozzezza primitiva. Se da una parte parlano meglio, ossia hanno assimilato il degradante italiano medio – dall’altra sono quasi afasici: parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare."


"Ora, tutti gli Italiani giovani compiono questi identici atti, hanno lo stesso linguaggio fisico, sono interscambiabili; cosa vecchia come il mondo, se limitata a una classe sociale, a una categoria: ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico sono interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno potrà distinguere, dal suo corpo, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968."


"Il consumismo consiste infatti in un vero e proprio cataclisma antropologico: e io vivo, esistenzialmente, tale cataclisma che, almeno per ora, è pura degradazione: lo vivo nei miei giorni, nelle forme della mia esistenza, nel mio corpo."

In questi tre interventi, di tono e di umore diverso, prende forma quello stadio ulteriore della maturazione del pensiero ideologico pasoliniano, che vede nel "genocidio culturale" il suo concetto principale e qualificante.
Nei capitoli precedenti si è visto come, alle soglie e durante la lavorazione della Trilogia della vita, Pasolini vedesse nel corpo e nel linguaggio del corpo una zona non ancora "colonizzata" dal nuovo potere. Alla constatazione del dilagare inarrestabile del neocapitalismo nel tessuto della società, si opponeva (anche se in un’opposizione disperata) ciò che rimaneva di pre-verbale e di pre-culturale (il corpo e il sesso, appunto) in quella vita popolare che, nei suoi modelli culturali e nei suoi ideali, era già stata sommersa dal nuovo capitale.
La fine del lavoro del regista attorno alla Trilogia della vita sembrerebbe coincidere con la caduta rovinosa di quest’ultima illusione; ora anche il corpo, l’ultimo baluardo "dell’idea dell’uomo" di fronte all’entropia consumistica, sembrava aver perduto la sua innocenza e il riflesso della sua primitiva autenticità. Pasolini prendeva ormai coscienza del fatto che in Italia (in ritardo rispetto agli altri paesi occidentali e in lieve anticipo rispetto a quelli del Terzo Mondo) era avvenuto un vero e proprio genocidio, che aveva annientato (sulla falsariga delle esecuzioni di massa "reali" della Seconda Guerra Mondiale) intere generazioni di esseri viventi che, nel giro di un decennio, erano state inghiottite dalla storia per essere sostituite dalle masse anonime e assimilate, senza alternative reali, all’ideologia borghese.
Se dunque, per un breve periodo, era stata possibile una "fuga nel corpo e nel passato" con la regressione "scandalosamente reazionaria" dei film della trilogia, ora questa regressione appariva del tutto inattuabile per il venir meno di ciò che era stato il suo centro e il suo fulcro ideale: il corpo del popolo.
È in questo contesto ideologico che va collocato quel documento, lucido e sofferto al tempo stesso, pubblicato postumo sul «Corriere della Sera» del 9 novembre 1975 (ma scritto il 15 giugno dello stesso anno), con il titolo di: Ho abiurato la «Trilogia della vita».
La constatazione della "degenerazione dei corpi e dei sessi" proiettava, retroattivamente, su tutto ciò che era stato l’esaltazione di quegli "«innocenti» corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali", la luce malata del disinganno, della disperazione. Se, infatti, ora è diventato "immondizia umana" ciò che Pasolini aveva "proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo", allora vuol dire che già allora, cioè nel momento di questa proiezione, questi corpi erano destinati a diventarlo, erano vocati a questo olocausto. I "puri" sottoproletari pasoliniani "erano quindi degli imbecilli costretti ad essere adorabili, degli squallidi criminali costretti ad essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti"; poiché il "il crollo del presente implica anche il crollo del passato" e la vita (tutta la vita) si trova ad essere "un mucchio di insignificanti e ironiche rovine".
Basta anche una sommaria conoscenza di quello che era stata l’opera e l’universo poetico pasoliniano prima di questo scritto, per intuire quali tenebre e quali angoscianti risoluzioni nascondessero queste parole ferme e strazianti.
Inoltre, a questo risoluto e impietoso sguardo che Pasolini getta su quella che era stata la "materia poetica" della Trilogia della vita (e di così gran parte della sua produzione artistica, e della sua esistenza) si accompagna la constatazione del fatto che proprio ciò che doveva costituire, nelle intenzioni dell’artista, la parte "scandalosamente ideologica" di questi film, era stata inglobata e stravolta a proprio favore dall’onnivoro pragma neocapitalista. Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte erano diventati dei film di cassetta, ma non solo; avevano infatti dato origine all’effimero successo del cosiddetto «filone boccaccesco», ovvero di quella serie di prodotti subculturali che proponevano, ambientandole in un medioevo pretestuale, avventure salaci e picarismi di maniera.
Dunque, nell’impossibilità pratica di un riecheggiamento del passato scomparso e nel profilarsi all’orizzonte dell’universo orrendo di un presente senza alternative, ecco manifestarsi la necessità di un’opera che affrontasse questo presente (seppur attraverso la mediazione della metafora e del riferimento letterario) e si ponesse in una posizione di assoluta e incontrovertibile "non assimilabilità"; ecco Salò.



Università degli Studi di Padova
Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento di Discipline Linguistiche, Comunicative e dello Spettacolo
Sezione di Spettacolo


tesi di laurea




La "Trilogia della vita"
di Pier Paolo Pasolini

Laureando:
Fabio Frangini

Relatore:
Ch.mo Prof. Giorgio Tinazzi
Anno accademico 1999-2000

Fonte:
http://www.ilcorto.it/iCorti_AV/TESI_Fabio%20Frangini.htm





Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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