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giovedì 1 aprile 2021

Il Vangelo secondo Matteo, visto da Moravia - L'Espresso 4/10/1964

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Il Vangelo secondo Matteo, visto da Moravia

Alcuni critici si sono meravigliati che Pier Paolo Pasolini, scrittore marxista,
traducendo sullo schermo Il
Vangelo secondo Matteo, si sia mantenuto fedele
al testo originale. Non c'è, infatti, incompatibilità assoluta fra il cristianesimo e
il marxismo? Fra gli apostoli e i ragazzi di vita? Fra la poesia civile di sinistra e
il cattolicesimo di destra? Nella meraviglia si esprimeva il moralismo d'una
società come quella italiana, pochissimo religiosa e perciò costretta ad un
conformismo di comportamento, Pasolini s'era “comportato” fin ora in un certo
modo; come poteva, ad un tratto, “comportarsi” in un modo tanto diverso?

In realtà Pasolini s'è mantenuto soprattutto fedele a se stesso; e poiché il
cristianesimo costituisce in lui il nesso sentimentale e ideologico che collega le
ardue esperienze opposte del marxismo e del decadentismo, egli è stato anche,
in maniera molto naturale, fedele al cristianesimo. Un cristianesimo, appunto,
di specie insieme popolare e raffinata, che gli ha permesso da un lato di illuminare
il carattere rivoluzionario del messaggio cristiano, dall'altro di recuperare la
bellezza che è nel testo del Vangelo e nelle interpretazioni che ne ha dato l'arte
di tutti i tempi.
Rispetto ad Accattone, Il Vangelo secondo Matteo segna un processo indubbio,
prima di tutto per l'eccezionale impeto espressivo che in questo film rivela
direttamente e immediatamente quali sono le cose che stanno a cuore a Pasolini.
E in secondo luogo perché, nelle singole parti, Pasolini mostra questa volta di
sapere alleare la poesia ad una rifinitezza e levità che in Accattone, più
elementare, non si potevano ancora che intravvedere.
Pasolini ha un senso acuto della realtà del volto umano, come luogo d'incontro
di energie ineffabili che esplodono nell'espressione, cioè in qualche cosa di
asimmetrico, di individuale, di impuro, di composito, insomma il contrario
del tipico. I primi piani di Pasolini sarebbero sufficienti da soli a mettere
Il Vangelo secondo Matteo sopra un livello eccezionale. Ma questi primi
piani non basterebbero a darci la storia di Gesù, come una galleria di ritratti
non basta a darci l'idea degli avvenimenti ai quali hanno preso parte i
personaggi. Il film, dunque, sarà un alternarsi di volti in primo piano e
di scene drammatiche per lo più contemplate da lontano, cioè come può
vederli uno spettatore il quale ora fissi lo sguardo sulle facce, ora cerchi
d'abbracciare la scena intera. Niente dunque di naturalistico in questa maniera
ora di avvicinare, ora di allontanare, volti e scena, semmai una rappresentazione
francamente estetizzante, che non pretende mai, come fa il naturalismo, di
darci la verità fotografica delle cose.
Pasolini ha capito il valore plastico e poetico, così del silenzio, come della parola.
Diciamo subito che i silenzi sono la forza del film e le parole la debolezza. I
silenzi di Pasolini sono affidati all'organo che è più legato al silenzio: gli
occhi. Non parliamo qui degli occhi degli spettatori, bensì degli occhi dei
personaggi. Le sequenze silenziose del Vangelo secondo Matteo sono le più
belle, appunto perché il silenzio è il mezzo più sicuro per farci fare il salto
vertiginoso all'indietro che ci propone Pasolini con il suo film. La parola è
sempre storica; il silenzio si pone fuori della storia, nell'assolutezza delle
immagini: il silenzio dell'Annunciazione, il silenzio che accompagna la morte
di Erode, il silenzio degli apostoli che guardano Gesù e di Gesù che guarda gli
apostoli, il silenzio di Giuda che sta per tradire, il silenzio di Gesù che sa di
essere tradito. Il silenzio nel film di Pasolini non è, d'altra parte, quello del
cinema muto, cioè un silenzio per difetto; bensì è il silenzio del parlato, cioè
un silenzio plastico, espressivo, poetico.
Mentre i silenzi sono di Pasolini, le parole, ovviamente, sono del Vangelo.
Abbiamo sempre pensato che la parola nel cinema ha un carattere veristico,
cioè, in fondo, superfluo, come dimostra se non altro il fatto che per molto
tempo il cinema fu muto e tuttavia lo stesso completamente e felicemente
espressivo. Questo carattere della parola nel cinema rendeva tanto più difficile
la trascrizione cinematografica d'un linguaggio così denso e così ricco di
metafore, come quello del Vangelo. Vedendo il film di Pasolini si riporta
l'impressione che lo schermo, per sua natura adatto all'immagine che scorre
e si mostra, piuttosto che alla parola che si ferma e dice, non sia il luogo
migliore per accogliere la risonanza di un discorso che sembra esigere le
architetture e gli sfondi dipinti d'un tempio. Pasolini, il quale s'è servito
della voce assai efficace di Enrico Maria Salerno, ha cercato in tutti i modi
di risolvere il problema di questa incompatibilità, ma non vi è riuscito
che parzialmente.
Adesso resta da dire che specie di Gesù è questo di Pasolini. Diciamo subito
che si tratta d'un Gesù molto diverso da quello conformistico che predomina
ancora oggi. Non vogliamo sprecare troppe parole su un fatto ovvio: è chiaro
che la bontà di Gesù ha, in sede storica, un carattere paradossale e
rivoluzionario, e che, nel momento stesso che Gesù diceva: “Ama il tuo
prossimo come te stesso”, egli diceva qualche cosa che non era soltanto
l'espressione di un sentimento, ma soprattutto, rispetto al mondo di allora,
qualcosa di oggettivamente sovvertitore. Per questo, Pasolini ha mirato a
darci un Gesù duro, violento, iconoclasta, inflessibile, come appunto doveva
apparire ai suoi contemporanei e non come appare oggi a noi che, com'è
stato già detto, non possiamo non dichiararci tutti cristiani. Lo stesso va detto
dell'ambiente nel quale Gesù si trovò a predicare. Per essere pienamente
rivoluzionario, il cristianesimo doveva essere non soltanto paradossale, ma
anche “invisibile”. Che cosa di più invisibile allora, d'una religione predicata
da un povero tra i poveri, in una provincia remota, in un linguaggio sconosciuto
ai potenti? E così ci pare che anche il “miserabilismo” di Pasolini trovi una
sua giustificazione storica e ideologica oltre che artistica.
Pasolini ha preso i suoi attori dalla strada, sia si tratti di amici dell'ambiente
letterario, sia di popolani dei luoghi dove il film è stato girato. E stata ancora
una volta una buona idea e il rendimento è notevole. Enrique Irazoqui, lo
studente spagnolo che interpreta il personaggio di Gesù, ha un volto che
ricorda il greco, i bizantini e i primitivi. Questo volto, spesso grave oppure
adirato, più di rado sorridente, è una delle più belle invenzioni del film.

Alberto Moravia
L'Espresso
4/10/1964





@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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