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domenica 28 aprile 2013

Accattone non muore mai


"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 




Accattone non muore mai


Emilio Ranzato per “L’Osservatore Romano

Negli ultimi cinquant’anni tante volte, persino troppe, si è sottolineata la santità dei personaggi diAccattone. Per quell’innocenza garantitagli dall’essere fuori dalla storia.
Ma il capolavoro di Pasolini va anche in una direzione per molti versi opposta, verso l’essenza di un problema moderno: l’eccesso del corpo e della materia. Ovvero il corpo rifiutato, emarginato, non utilizzato da una società che al contrario accoglie e accumula oggetti inutili, effigi di un benessere di cartapesta. Un problema ideologico, dunque. Ma anche estetico.
Tanto si è detto della frontalità dell’immagine pasoliniana, della figura umana sempre centrale, con un riferimento alla pittura medioevale che in seguito diventerà esplicito citazionismo. In effetti il dato più innovativo e sconcertante dell’esordio cinematografico del poeta e intellettuale sono i personaggi che attraversano i luoghi senza abitarli, senza viverli, come fossero davvero gli sfondi di un dipinto.
Questa frontalità, però, richiama anche il cinema muto, fonte d’ispirazione del nuovo regista per sua stessa ammissione. Al di là di precise influenze — Pasolini parlerà di Chaplin, Ejzenštejn, Dreyer — ciò che riporta al cinema degli albori è il problema dell’utilizzo del corpo. Problema che nasce dalla trasparenza quasi scandalosa dei mezzi espressivi cinematografici, e dalla difficoltà di apporvi dei filtri. E il profano della cinepresa Pasolini, abituato a trincerarsi dietro l’ambiguità rassicurante della parola, proprio grazie al suo sguardo ancora vergine avverte subito questa sfida. Tuttavia, non vi si sottrae. Vi intravede, anzi, la soluzione estetica alle proprie posizioni ideologiche, che già in quei primi anni Sessanta stavano perdendo la monolitica consistenza marxista per aprirsi a derive più complesse, pessimistiche, ma anche più universali e poetiche.
Il cinema con la sua trasparenza disarmante, e il poeta con in mano una cinepresa che per lui è ancora un mistero, diventano quindi un’alchimia perfetta per l’intellettuale ossessionato dall’incombere della società dei consumi. Che non ha trovato nella politica risposte sufficienti per sé e per gli altri. E che ora vuole lasciarsi andare a una risposta personale tutta poetica, finalmente libero dai vincoli di un’ideologia precostituita. Il cinema, da questo momento in poi, sarà per Pasolini il territorio franco dove far convivere tutte le sue contraddizioni, e dare ampio sfogo a quella permeabilità di dottrine interiori che sulle pagine dei giornali continuerà a far discutere, scandalizzare, disorientare gli esponenti di ogni parte politica.
Ecco dunque che in quel viaggio a ritroso verso le radici antropologiche dell’uomo moderno, verso il primitivo, che sarà Accattone, Pasolini si imbatte senza paura anche nell’atavico problema della presenza di un corpo o di oggetto sullo schermo, e della sua incontenibile forza. Che sia la locomotiva di Lumière che minaccia di uscire dall’inquadratura facendo fuggire gli spettatori, o un eroe delle comiche che rimbalza sulla scena distruggendo tutto come una mina vagante.
Nel cinema di Pasolini questo problema estetico ed espressivo diventerà un tutt’uno con i problemi che la modernità sembra non poter risolvere, e anzi sembra alimentare: cosa fare degli emarginati, dei non impiegati, degli ultimi. Di coloro che rimangono sulla faccia oscura della società dei consumi. Che cosa fare dei corpi e degli oggetti in eccesso. Con questa geniale sintesi, l’outsider coglie dunque nel segno. Mettendo il dito in una tematica che da lì in avanti avrà lungo corso e ampia fortuna sul grande schermo, divenendo addirittura il concetto più politico espresso dalla settima arte. Il corpo come escrescenza. Il corpo come materia non utilizzata di cui sbarazzarsi in qualche modo.
Sovrapposto com’è a uno scenario di borgata che non offre più nulla di abitabile, Accattone è sì un martire di Mantegna, ma è anche a un passo dalle orde di zombi costretti a reiterare azioni inutili nel cinema di Romero, dai reietti stipati in ghetti sempre più istituzionali di Carpenter, dal connubio fra organico e inorganico come aberrazione della tecnologia in Cronenberg, dalle suburre industriali che creano mostri nel primo Lynch. D’altronde persino lo splatter — termine inaugurato proprio per Romero — prima di diventare un passatempo per palati forti nasce come simbolo dei metodi con cui la società moderna si libera di tutto ciò che produce in eccesso, e di tutti coloro che non riesce a impiegare.
Naturalmente, Pasolini non propone soluzioni altrettanto drastiche. L’anelito di morte che grava sul suo protagonista, però, assolve in fin dei conti la stessa funzione. Se la società non riesce a riconoscere in quel corpo una persona, Accattone farà in modo di liberarsene per conto proprio. Non a caso, con l’aiuto di un simbolo della modernità. Ruba una motocicletta come l’Antonio di Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948) rubava la più umile delle due ruote. Entrambi falliscono nel loro maldestro, illusorio tentativo di scalare la piramide sociale.
Ma se Antonio veniva graziato in un finale aperto, Accattone trova l’agognata morte in un finale che non potrebbe essere più definitivo.
Ecco come Pasolini liquida gli strascichi neorealisti che pure pervadono la sua opera. A pochi anni di distanza, quella speranza di andare avanti nonostante tutto, sembra già svanita.
I suoi primi tre lungometraggi, d’altronde, finiscono con una morte. Ma se nel seguente Mamma Roma(1962) il protagonista sfiorava l’alterità assomigliando al Cristo più famoso di Mantegna, ne Il vangelo secondo Matteo (1964) si parla già di una morte solo apparente. Il Cristo pasoliniano è in fin dei conti un alter-ego e un contraltare di Accattone: rappresenta la grazia di essere fuori dalla storia.
Nella sua brama febbrile, quasi disperata di vivere, anche a dispetto della difficoltà di trovare un posto nel mondo come i suoi personaggi, Pasolini forse aveva già scorto una nuova risposta per sé e per l’uomo moderno.

Fonte:
http://sottoosservazione.wordpress.com/2011/08/30/accattone-non-muore-mai/#more-23769

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Curatore, Bruno Esposito

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