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martedì 13 novembre 2012

Mattei, Pasolini e De Mauro: una scia di sangue e petrolio

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro








Mattei, Pasolini e De Mauro: una scia di sangue e petrolio


di Antonella Loi


Enrico Mattei, Pier Paolo Pasolini, Mauro De Mauro. Cosa c’è dietro la morte del presidente dell’Eni nei cieli di Bascapè? E di chi era la mano che uccise il poeta all’Idroscalo di Ostia: fu veramente il 17enne Giuseppe Pelosi o, come da lui stesso dichiarato in una recente intervista, "lo uccisero in 5, gente intoccabile"? E ancora, cosa aveva scoperto il giornalista Mauro De Mauro a proposito della morte di Mattei, tanto da diventare un pericolo per chi ne ordinò il sequestro e la morte? Una trama oscura che passa attraverso il libro che Pasolini stava ultimando, Petrolio, e la sceneggiatura per un film di Rosi sul Caso Mattei a cui il cronista siciliano lavorava. Uno dei tanti misteri d’Italia, un puzzle intricato che passa attraverso la loggia massonica P2, i servizi segreti deviati e la lotta per il potere di personaggi senza scrupoli a cui Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, nel loro libro Profondo nero - Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica scia all'origine delle stragi di Stato (edito da Chiarelettere, 2009, 295 pp., 14,60 euro) hanno provato a dare un volto. Facendo nomi e cognomi.

Lo Bianco, l’uccisione di Mattei è stata un punto di svolta nella storia italiana?
"Direi proprio di sì. Enrico Mattei aveva in testa l'idea di un'Italia autonoma, energeticamente e finanziariamente, libera dalla dipendenza dalle Sette Sorelle, Mattei aveva un po' sconvolto l'equilibrio mondiale del mercato del petrolio. Era un personaggio assai scomodo, all'estero perché alterava questi equilibri e in Italia perché oltre ad avere una grande capacità economica aveva anche una grande capacità politica. Mattei era diventato una sorta di ministro degli Esteri italiano, era più importante del ministro degli Esteri, e in qualche modo decideva larghe fette di politica estera italiana, stringeva rapporti con i paesi del Medioriente e dell'Africa sulle questioni energetiche. Con la sua morte in molti hanno tirato un sospiro di sollievo e questo emerge dalle carte processuali e da documenti dei servizi segreti".

Dalla coltre di fumo che per anni ha circondato il "caso Mattei" emerge la figura di Eugenio Cefis, collante di un sistema eversivo sostenuto da una classe dirigente fuori dagli schemi della democrazia. Chi era Cefis?
"Cefis era un burocrate di Stato, un boiardo, un grande manager pubblico che come Mattei veniva dalla Resistenza. Condividevano la stessa esperienza anche se si erano annusati e non si piacevano molto. Avevano combattuto insieme sulle Alpi lombarde. Come tutti coloro che vengono dalla Resistenza avevano due caratteri forti, temprati dalla guerra, molto duri. Ma al contrario di Mattei, Cefis preferì fin dall'inizio allacciare rapporti con gli americani, rapporti che segneranno poi tutta la sua carriera. Cefis era un uomo con l'ossessione della segretezza, Giorgio Bocca l'ha raccontato molto bene. Sue fotografie in giro non ce ne sono. Quelle agli atti dei processi sono state più volte acquistate così come, forse per conto di Cefis, sono state acquistate anche quelle della tragedia di Bascapè dove perse la vita Mattei. Foto acquistate dall'investigatore privato Tom Ponzi che, successivamente, finì coinvolto in storie di spionaggio".

Un personaggio misterioso.
"Un'informativa dei servizi segreti indica Cefis come il capo della loggia massonica P2, che poi avrebbe lasciato in eredità a Licio Gelli e Umberto Ortolani. Quello che ci ha colpito scrivendo questo libro è che per oltre quarant'anni, al di là delle responsabilità di Cefis e del 'sistema Cefis', a noi italiani hanno fatto credere che questo aereo si fosse schiantato a Bascapè in una sorta di incidente aereo. Sono riusciti a camuffare un sabotaggio facendolo passare per un incidente aereo. E ci sono riusciti benissimo per molti anni".

Perché non si è mai arrivati ad una verità giudiziaria sul caso Mattei?
"Perché i primi testimoni, penso al colono Mario Ronchi, hanno ritrattato quello che hanno detto di aver visto nell'immediatezza ai giornalisti della Rai, documenti poi scomparsi o alterati: dal video di un servizio Rai è sparito addirittura l'audio. Sono entrati in gioco una serie di meccanismi di copertura e di depistaggio fortissimi, che non potevano non avere radici nell'apparato dello Stato. Penso appunto al colono Ronchi al quale, dopo questa sua ritrattazione, è stata costruita una strada interpoderale a spese dell'Eni, o meglio della Snam. Ronchi stato assunto dalla Snam con un contratto annuale per fare il custode di quello che sarebbe diventato il memorial Mattei, fu assunta perfino una figlia. Lui era l'unico testimone che aveva detto di aver visto la palla di fuoco in cielo, cioè era l'unico che aveva visto qualcosa che dimostrava che era successa qualcosa a bordo dell'aereo sul quale viaggiava Mattei, aveva visto le fiamme in aria. Sparita quella prova poi tutto finì".

Anche una commissione d'inchiesta indagò sulla morte del presidente dell'Eni.
"La commissione parlamentare, che venne insediata dall'allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, però non riuscì ad arrivare a nessuna verità. E anche se il comandante Giambalvo, che il procuratore Calia (il magistrato che nel 1994 aprì un'inchiesta che per la prima volta mise in correlazione gli omicidi Mattei, Pasolini e De Mauro n.d.r.) ha sentito e il cui verbale fu allegato agli atti dell'inchiesta, ha detto di avere lasciato la commissione con un'intesa tra i componenti della commissione stessa, e di avere visto poi un esito del tutto diverso spuntato nell'ufficialità dei documenti finali. Anche quella è una pagina molto oscura. Soltanto dopo la riesumaizone dei cadaveri, l'esame dei reperti dell'aereo custoditi negli hangar, il pm Calia fece un lavoro brillante, faticoso e tenace, riuscendo a ristabilire la verità, una verità che era stata nascosta agli italiani".

Da Mattei a Pasolini. Il poeta - ucciso il 2 novembre 1975 - provò a denunciare l’eversione di stato: Pelosi ha parlato di una banda di picchiatori che, mentre massacravano il poeta, urlavano "frocio, comunista". Quella di Pasolini è stata dunque una morte "politica"?
"Pelosi non la racconta tutta. Evidentemente non la racconta tutta e non la racconta ancora giusta. Però è pure vera una cosa: come dice la Maraini, nel suo raccontare questa verità a rate, ci si avvicina sempre di più a quello che lei e il gruppo di intellettuali vicini a Pasolini avevano gridato, cioè che si trattava di un delitto politico. Bernardo Bertolucci, grande amico di Pasolini, parlò di una fatwa lanciata dal palazzo. Pelosi evidentemente, arrivato a cinquant'anni, sente forte il peso di questa responsabilità che non vuole più portare da solo. In fondo ha pagato solo lui".

Pelosi racconta una storia totalmente diversa da quella resa al processo.
"Pelosi parla oggi di un commando di cinque persone, parla di un appuntamento che Pasolini avrebbe preso con lui una settimana prima, aprendo uno scenario del tutto nuovo: non è stato un adescamento casuale alla stazione Termini, ma un appuntamento concordato che poteva offrire agli assassini l'occasione per ammazzare Pasolini. E Pelosi fa i nomi. La cosa singolare che abbiamo evidenziato bene nel libro è che due di questi erano stati identificati due mesi dopo dal maresciallo Renzo Sansone che, inflitrandosi in una bisca del Tiburtino, riuscì a raccogliere le confidenze dei fratelli Franco e Giuseppe Borsellino che dissero di aver ucciso Pasolini insieme a Giuseppe Mastini detto "Johnny lo Zingaro". Ma ad assassinare Pasolini erano in cinque, quindi ce ne sarebbero altri due, che Pelosi descrive come "quarantenni con la barba" che non avrebbero direttamente partecipato al pestaggio ma avrebbero in qualche modo sovrinteso all'agguato dell'Idroscalo e questi potrebbero essere legati ai servizi segreti deviati. Ma tutto questo dovrà essere accertato giudiziamente se, come chiesto dall'avvocato Maccioni, il fascicolo verrà riaperto".

Un altro omicidio legato alla morte di Mattei e poi di Pasolini, è quello del giornalista Mauro De Mauro - sparito da Palermo il 16 settembre del 1970 - che indagava sui giorni siciliani, gli ultimi, di Enrico Mattei.
"Il delitto di Pasolini è legato più logicamente che giudiziariamente agli altri due. Il delitto De Mauro invece è legato in maniera fortissima al delitto Mattei. De Mauro indagava sul delitto Mattei per conto del regista Rosi. Due giorni prima della sua scomparsa De Mauro aveva incontrato il senatore Graziano Verzotto, un personaggio chiave di questa vicenda perché attraversa incredibilmente tutti e tre i delitti. Verzotto, capo delle pubbliche relazioni dell'Eni, è l'uomo che chiama Mattei in Sicilia per quell'ultimo viaggio trasformato nel viaggio della morte".

Verzotto è legato a Mattei ma anche a De Mauro.
"Sì, Verzotto è l'uomo che incontra De Mauro e al quale fa tutta una serie di confidenze, fino all'ultimo incontro il 14 settembre due giorni prima della sua scomparsa, quando gli parla di una serie di cose, indicandogli Cefis come un possibile mandante del delitto Mattei. Verzotto, nella sua qualità di presidente dell'Ente minerario, è finanziatore di quell'agenzia che si chiama 'Roma informazioni' e che è collegata a 'Milano informazioni', che pubblicò il libro Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, scritto da tale Giorgio Steimetz, misteriosamente ritirato dagli scaffali, da cui Pasolini aveva tratto spunti per il suo Petrolio. Quindi De Mauro aveva capito probabilmente una fetta di verità relativa a Mattei e proprio per questo, secondo noi, è stato fatto scomparire".

Dal suo libro emerge un intreccio di depistaggi ed omissioni che tocca imprenditori, politici, servizi segreti, passando per la mafia e la massoneria. Una sequela di non-verità che si protraggono fino ai giorni nostri: l’Italia degli anni ’70 vive ancora oggi?
"L'Italia degli anni '70 si proietta in maniera inquietante negli anni '90 e nel terzo millennio. Non siamo riusciti a fare chiarezza su tutti i buchi neri del nostro passato recente, nonostante una bellissima relazione di maggioranza della Commissione stragi presieduta da Giovanni Pellegrino abbia messo dei punti fermi sulla storia sottotraccia di questo Paese, disegnando perfettamente quella che fu negli anni '70 la strategia della tensione".

Una pagina chiusa?
"Tutt'altro, quella strategia non è conclusa, quella stagione si proietta ancora fino ai giorni nostri e lo ha sottolineato lo stesso pubblico ministero Calia quando, nella sua inchiesta, cita una società che si chiama 'Cefinvest' che sarebbe in qualche modo collegata alla Edilnord centro residenziali, già Edilnord Sas di Silvio Berlusconi. Lui cita questo come un dato di cronaca ma fa riflettere abbastanza, al di là delle informative dei servizi segreti che indicano Cefis come il vero fondatore della loggia P2. E' una parte oscura, che arriva fino alle stragi del '92 e '93 - quindi alla nascita della Seconda Repubblica, che avrebbe bisogno di venire illuminata".

21 aprile 2009

fonte:
http://spettacoli.tiscali.it/articoli/libri/09/profondo_nero_intervista_123.html


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Curatore, Bruno Esposito

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