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lunedì 5 novembre 2012

Caravaggio e Pasolini, una sola croce.


"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Caravaggio e Pasolini, una  croce.

*
 
 
Il ruolo dell’intellettuale è quello di non avere ruoli,
di essere la contraddizione vivente di ogni ruolo».
(Pier Paolo Pasolini, intervista rilasciata in Svezia,
all’Istituto Italiano di Cultura, il 31ottobre1975
apparsa sul «Dagens Nyheren»)
 
Quando non c'è energia non c'è colore,
non c'è forma,
non c'è vita.
(Caravaggio)

 
 
 
Artisti senza compromessi, vittime sacrificali, ragazzi che si rifiutano rabbiosamente di crescere. 
Contribuirono a cambiare il mondo


Caravaggio e Pasolini sono due figure intemperanti, ed accomunate dal destino di morire su una striscia di sabbia; due figure apparentemente rissose, dominate dallo scandalo, figure eretiche che in realtà presentano nel loro discorso un’essenza cristologica, specialmente perché hanno dalla loro parte la croce e la spada. L’artista è infatti anche un guerriero, è una figura mistica.
Vi sono altre similitudini: Pasolini è legato al popolo, come anche Caravaggio. Pasolini inoltre è legato a una certa visione dell’Italia, alla riscoperta di un Italia appenninica umile; da questo punto di vista, il Pasolini friuliano e popolare è più autentico e vero del Pasolini romano, sebbene quest’ultimo sia più conosciuto e più scandaloso, più eretico. Nel titolo di un suo libro – tra i meno felici, per la verità –, Trasumanar e organizzar, c’è l’idea dell’artista: "trasumanare" è una parola dantesca, ed indica la ricerca di uscire dal destino dell’uomo solo per cercare un’ascesi spirituale, un miglioramento; accanto a questa immagine però c’è il termine "organizzare", un’idea organizzativa, Questo perché l’idea dell’artista di Pasolini è proprio del faber, di colui che fa, che organizza, nel momento in cui trasumana: da cui, appunto, "trasumanar e organizzar". È l’artista che fa, sia nel senso antico del greco poiein, sia dell’organizzazione.
 
Gabriella Sica

 
V’era una dolcezza femminea in te, una gentilezza femminea. Anche la tua voce del resto aveva un che di femmineo, e ciò era strano perché i tuoi lineamenti erano i lineamenti di un uomo: secchi, feroci.
Sì esisteva una nascosta ferocia sui tuoi zigomi forti, sul tuo naso da pugile, sulle tue labbra sottili, una crudeltà clandestina. Ed essa si trasmetteva al tuo corpo piccolo e magro, alla tua andatura maschia, scattante, da belva che salta addosso e morde. Però quando parlavi o sorridevi o muovevi le mani diventavi gentile come una donna, soave come una donna.
 Lettera a Pier Paolo 
di Oriana Fallaci
 
 
“Oltre a rincorrere la natura oggettiva delle cose, Caravaggio portò la pittura a un ampliamento dei soggetti, vale a dire una sorta di superamento dei vari generi nei quali era divisa allora l'arte figurativa. Il genere «supremo» era considerato l'arte sacra. Poi, veniva la pittura profana che proponeva storie, battaglie, eroi e grandi personaggi; all'ultimo scalino, stavano il paesaggio e la natura morta. Nelle opere di Caravaggio dei primi anni romani, ad esempio il Bacchino malato della Galleria Borghese (forse un autoritratto del pittore) o il Ragazzo che monda un frutto noto in varie versioni, la figura umana e la natura morta appaiono sullo stesso piano ed entrambe sono di una lucidità straordinaria. Questo nuovo modo di dipingere, questo nuovo modo di interpretare la realtà, suscitò dapprima una grande curiosità e poi l'ostilità da parte dell'establishment artistico.”
 
Federico Zeri
Da “Abecedario Pittorico”, Longanesi 2007
 

“La sua ostinata deferenza al vero poté anzi confermarlo nella ingenua credenza che fosse l'occhio della camera a guardar lui e a suggerirgli tutto. Molte volte dovette incantarsi di fronte a quella magia naturale; e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto necessaria la figura umana, se, uscita questa dal suo campo, esso seguita a specchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro caduto a terra. Che altro potesse conseguire a questa risoluzione di procedere dipingendo per specchiatura diretta della realtà, non è troppo difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che, preparandosi gli argomenti in carta e matita per via di erudizione storica e di astrazione stilizzante, aveva elaborato una complessa classificazione del rappresentabile, dove, per meglio servire alla società di allora, non poteva che preferirsi l'aspetto della classe dominante. Ma il Caravaggio pensa invece alla vita comune, ai sentimenti semplici, all'aspetto feriale delle cose che valgono, nello specchio, come gli uomini.”

ROBERTO LONGHI 
Da “Il Caravaggio”, 1952 

 

 
“E quanto al grande genio del realismo, Michelangelo da Caravaggio, le sue figure sono (come in tutti i grandi inventori visivi) archetipi universali, che non scendono mai alla specificazione in senso regionale; il Caravaggio ha mostrato come si dipinge l'uomo, e non ha mai diluito i suoi tipi sulla falsariga della vita quotidiana, né secondo il repertorio fisionomico o di costume di Roma, di Napoli o di Malta.“
 
“La percezione visiva dell'Italia e degli italiani”, Einaudi 1989
 
 


«(…) In una strada deserta, c’era un bar deserto, con la televisione accesa. Si entrò seguiti da un giovanotto che chiedeva stravolto: "Ma è vero, è vero?" E la padrona del bar chiese: "Vero cosa?". E il giovanotto rispose: "Di Pasolini, Pasolini ammazzato!" E la padrona del bar gridò: "Pasolini Pier Paolo? Gesù! Gesummaria! ammazzato! Gesù! Sarà una cosa politica!" Poi sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio d’immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se ti dico che non eri un uomo, eri una luce e che una luce s’è spenta?»

Lettera a Pier Paolo 
di Oriana Fallaci
 

E se fosse un film? 
Magari un film con un finale ancora da scrivere? 
Girato con quella tecnica del cinema di poesia per cui le inquadrature debbono riprodurre fisicamente la realtà psicologica del personaggio?
Pasolini che si avvicina alla porta del ristorante "Il Pomodoro", accompagnato da Ninetto Davoli e dalla sua famiglia, abbassa la testa, entra...
Mi viene la sensazione di assistere alla conclusione di una lunghissima fuga.
Pasolini cena con i suoi amici e ha sempre la sua solita voce sottile - Poi quando la serata ha termine, Pasolini si separa dalla comitiva e rientra nella sua auto.
Verso le 23, Stazione Termini. 
Alle 23 e 30 circa con Pelosi vanno in un ristorante dove Pasolini è abbastanza conosciuto... dopo, li ritroviamo ad Ostia, in un campetto di "calcio" contornato da baracche fatiscenti...  un luogo famigliare, che ricorda tanti luoghi conosciuti e forse amati... a quell’ora il mondo dorme sotto sonni agitati e i giornali, già colmi di notizie, sono in rotativa. 
Li  muore Pasolini, tra la polvere e la salsedine dopo una colluttazione che l’ha visto cadere, cedere di schianto. 
Pasolini muore, il ragazzo scappa e la notte torna a essere silenziosa. 
Man mano che il sole sorge la luce illumina qualcosa... per una donna del luogo, somiglia ad un cumulo di immondizia. 
Da quel momento, Pasolini che ha tanto camminato, si ferma nel tempo e si mostra uomo in tutti i sensi, si mostra ai posteri, i quali, potranno leggere in quella morte, tutto ciò che da essa  puo servi. 
Pasolini, sapeva bene che "il mondo non lo voleva più"... e "la realtà non parla con altri che con se stessa". 

B. Esposito



Qualcuno sostiene che Pasolini, quella notte, voleva disperatamente recuperare le pizze del suo film Salò, rubate qualche mese prima...

Caravaggio nel luglio 1610, navigò alla volta di Roma, ma fu arrestato durante una sosta e la nave ripartì con i suoi bagagli, gli strumenti per dipingere. Cercò disperatamente di raggiungere la nave via terra, ma arrivò solo sulla spiaggia di Porto Ercole, dove morì di polmonite. Tre giorni dopo la sua morte la grazia papale raggiunse il suo cadavere.


"Dopo Giotto e dopo Masaccio egli riafferma il principio secondo cui non concetti astratti o prevenute concezioni filosofiche sino da incollare sulla tela, ma la conoscenza della realtà, le cose come esse sono, indagate ed esplorate nelle loro relazioni di luogo, spazio, luce: le cose, da sole, esprimono idee, filosofia e storia, perché da esse si sprigiona il presente e il suo suono, la nuova condizione umana, i nuovi concreti rapporti tra gli uomini e degli uomini con le cose e la storia. Le vie del realismo non sono infinite".

RENATO GUTTUSO
Da "Antiaccademia" su I Classici dell'Arte - Caravaggio

 

La luce di Caravaggio
di Pier Paolo Pasolini
In Saggi sulla letteratura e sull’arte, Tomo II, Meridiani Mondadori, Milano 1999

Tutto ciò che io posso sapere intorno al Caravaggio è ciò che ne detto Longhi. È vero che il Caravaggio è stato un grande inventore, e quindi un grande realista. Ma che cosa ha inventato il Caravaggio? Nel rispondere a questa domanda che non mi pongo per pura retorica, non posso che attenermi a Roberto Longhi. Il Caravaggio ha inventato: primo: un nuovo modo che secondo la terminologia cinematografica si dice profilmico, intendo con questo tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa: il Caravaggio cioè ha inventato tutto un mondo da mettere davanti al cavalletto nel suo studio: tipi nuovi di persone, nel senso sociale a caratteriologico, tipi nuovi di oggetti, tipi nuovi di paesaggi.
Secondo: ha inventato una nuova luce: al lume universale del Rinascimento platonico ha sostituito una luce quotidiana e drammatica. Sia i nuovi tipi di persone e di cose che il nuovo tipo di luce, il Caravaggio li ha inventati perché li ha visti nella realtà. Si è accorto che intorno a lui - esclusi dall’ideologia culturale vigente da circa due secoli – c’erano uomini che non erano ore del giorno, forme di illuminazione labili ma assolute, che non erano mai state riprodotte e respinte sempre più lontano dall’uso e dalla norma, avevanto finito col divenire scandalose, e quinde rimosse. Tanto che probabilmente i pittori, e in genere gli uomini fino al Caravaggio probabilmente non le vedevano nemmeno.
La terza cosa che ha inventato il Caravaggio è un diaframma (anch’esso luminoso, ma di una luminosità artificiale che appartiene solo alla pittura e non alla realtà) che divide sia lui, l’autore, sia noi, gli spettatori, dai suoi personaggi, dalle sue nature morte, dai suoi paesaggi. Questo diaframma, che traspone le cose dipinte dal Caravaggio in un universo separato, in un certo senso morto, almeno rispetto alla vita e al realismo con cui quelle cose erano state percepite e dipinte, è stato stupendamente spiegato da Roberto Longhi con la supposizione che il Caravaggio dipingesse guardando le sue figure riflesse in uno specchio. Tali figure erano perciò quelle che il Caravaggio aveva realisticamente scelto, negletti garzoni di fruttivendolo, donne del popolo mai prese in considerazione, ecc., e inoltre esse erano immerse in quella luce reale di un’ora quotidiana concreta, con tutto il suo sole e tutta la sua ombra: eppure… eppure dentro lo specchio tutto pare come sospeso come a un eccesso di verità, a un eccesso di evidenza, che lo fa sembrare morto.
Posso amare críticamente la scelta realistica del Caravaggio nel ritagliare nei personaggi e negli oggetti il mondo da dipingere; posso amare, ancor più, criticamente, l’invenzione di una nuova luce dove far accadere gli immobili avvenimenti. Tuttavia quanto al realismo occore una buona dose di storicismo per individuarlo in tutta la sua imponenza: non essendo io un critico d’arte, e vedendo le cose in un prospettiva storica falsa e schiacciata, tutto sommato a me il realismo del Caravaggio mi sembra un fatto abbastanza normale, superato lungo i secoli da altre, nuove forme di realismo. Quanto alla luce, posso apprezzarne l’invenzione stupendamente drammatica, ma per una mia particolare forma estetica – dovuta chissà a quali manovre del mio inconscio - non amo le invenzioni di forme. Un nuovo modo di sentire la luce mi entusiasma molto meno che un nuovo modo di sentire mettiamo il ginocchio di una madonna sotto il manto o lo scorcio del primo piano di un santo: amo le invenzioni e le abolizioni dei chiaroscuri, delle geometrie, delle composizioni. Di fronte al caos luminoso del Caravaggio resto ammirato ma un po’ staccato (se è la mia opinione strettamente personale che qui si vuole conoscere). Ciò che mi entusiasma è la terza invenzione del Caravaggio: cioè il diaframma luminoso che fa delle sue figure delle figure separate, artificiali, come riflesse in un specchio cosmico. Qui i tratti popolari e realistici dei volti si levigano in una caratteriologia mortuaria; e così la luce, pur restando così grondante dell’attimo del giorno in cui è colta, si fissa in una grandiosa macchina cristallizzata. Non solo il Bacchino è malato ma anche la sua frutta. E non solo il Bacchino, ma tutti i personaggi del Caravaggio sono malati, essi che dovrebbero essere per definizione vitali e sani, hanno invece la pelle macerata da un bruno pallore di morte.
 

«Prima di tutto tu sei e devi essere molto carino. Magari non in senso convenzionale. Puoi anche essere un po’ minuto e addirittura un anche po’ miserello di corporatura, puoi avere nei lineamenti il marchio che, in là negli anni, ti renderà fatalmente una maschera» 

(Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane - "Gennariello").
 

Michelangelo Merisi da Caravaggio ebbe spesso a che fare con la legge. Nel 1600 fu accusato di percosse da un compagno e l'anno dopo ferì un soldato. Nel 1603 finì in carcere per le accuse di un altro pittore e fu rilasciato solo grazie all' intercessione dell'ambasciatore francese. Nell'aprile 1604 fu accusato di aver gettato un piatto di carciofi in faccia al cameriere che lo serviva e in ottobre per aver preso a sassate una guardia. Nel maggio 1605, fu fermato ancora per uso improprio delle armi . Il 29 luglio prese le difese di una donna, ma esagerò e dovette nascondersi per un po'. Nel maggio 1906 durante una rissa furiosa a una partita di pallacorda, Caravaggio uccise un certo Ranuccio Tommasoni.
Da quel momento visse fuggendo: Napoli (1607), Malta (1608), Siracusa, Messina (1609), Palermo, di nuovo Napoli.

Pasolini, fu molto perseguitato dalla legge... vedi la sezione persecuzione giudiziaria ( CLICCA QUI ).
 

Quella che fosse la religiosità di Pasolini non l'ho mai capita bene. Debbo dire che Pasolini, a mio avviso, era profondamente cattolico, nel suo intimo; era formato dall'Italia cattolica, quindi aveva un forte senso del peccato, un forte senso della redenzione, un forte senso della liberazione dal peccato e dal senso di colpa. Questo secondo me era Pasolini. Io quando l'ho conosciuto, l'ho incontrato più di una volta e ho avuto sempre l'impressione di una persona profondamente toccata dal senso di colpa, agitata, quasi tormentata, lacerata, ecco il vero termine che si addice a Pasolini, lacerata, una persona che voleva essere punita. Poi anche il culto della mamma, che era molto profondo in Pasolini, tant'è vero che la madre addirittura mi sembra appaia come Madonna in un film che è Il Vangelo secondo Matteo.
 
Federico Zeri



La «Madonna dei pellegrini» o «Madonna di Loreto», opera del Caravaggio per la Chiesa di Sant'Agostino, fu uno scandalo per via della cuffia storta e sozza e dei piedi sporchi delle due figure inginocchiate, mentre la «Morte della Vergine» fu rifiutata dalle Carmelitane a causa delle fattezze plebee e per le gambe nude e il ventre gonfio, «indegno» della Madre di Cristo. 
 

«In modo particolare, è difficile scindere tutta l’esperienza eversiva del Pasolini “romano” degli anni Cinquanta dall’immagine del Caravaggio che ci è stata a più riprese offerta dal Longhi fino alla grande mostra caravaggesca da lui organizzata nel ’51. Proprio in quegli anni il Pasolini scendeva dal Nord a Roma, cambiando la giovanile e lirica vena friulana in tragedia, nella direzione del drammatico realismo religioso e plebeo de Le Ceneri di Gramsci, dei Ragazzi di vita e di Una vita violenta. Testi alla mano, si direbbe che il Pasolini lavorasse allora non allo specchio del Caravaggio, ma allo specchio del Caravaggio "romano" così come ci è stato dipinto dal Longhi: quello, per intenderci, che finge per Maddalena la povera ciociarella tradita, gli sciolti capelli che si asciugano al sole nella stanzetta smobiliata, o quello dei bacchi rifatti su torpidi e assonnati garzoni d’osteria, o quello, infine, della Vergine morta e gonfia a gambe scoperte, come una popolana del rione, a dirla gentilmente, o una mignotta agli ultimi rantoli nella stanzaccia spartita dal tendone. Delle mosse caravaggesche del primo Pasolini, quasi un «amor de loinh», ebbi occasione di parlare al Longhi qualche mese prima che egli morisse. Non volle prendere partito. Ma l’interesse che mostrò alle date, le precisazioni che seguirono, quell’«Oh, guarda!» che si lasciò scappare, mi dicono che la piccola notizia critica lo aveva fatto riflettere».
 
Cesare Garboli


“Il realismo caravaggesco è mancanza di sviluppo storico o naturale, estrema contrazione o concentrazione di spazio e di tempo, affronto diretto della realtà nella furia cieca del fare pittorico”.


GIULIO CARLO ARGAN

 
“In verità, egli fu per molti aspetti il primo artista moderno. Il primo a non procedere per evoluzione, ma per rivoluzione”.1905



ROGER ELIOT FRY (artista e critico d'arte inglese, 1866-1934)
 
 
«Caravaggio muore non lontano da Roma e in terra toscana, vicino al Mar Tirreno, perseguitato e inseguito come un delinquente.
 
Anche Pasolini muore vicino a Roma, davanti allo stesso mare, alla foce del Tevere presso Ostia... lui «più moderno d’ogni moderno» Entrambi chiudono un’epoca, con la drammaticità che questo comporta. Caravaggio l’epoca classica dell’arte e Pasolini,chiude l’epoca del progresso, ceduta sotto i colpi dello sviluppo economico.
 

Il miracoloso percorso di Caravaggio, dall’empirismo nordico all’umanità popolare del sud, non può ripetersi con Pasolini, figlio del suo tempo, che cerca nel sud un mito ancora romantico e improbabile, lontano dal grande e autentico meridione greco caravaggesco.
Tuttavia l’essenza cristologica del loro lavoro è innegabile.

La croce è il segno presente nell’opera di entrambi…». 
 
 
  
Scrive Enzo Siciliano (Vita di Pasolini, Rizzoli 1978)
«L’emozione per l’uccisione di Pasolini fu enorme: l’idea che egli fosse stato ucciso in un agguato “politico” si diffuse subito presso moltissimi».

 

 
Entrambi gli artisti discesero a Roma dal Nord, in concomitanza di un Giubileo (1600, 1950) e in un momento di transizione: «Caravaggio [...] ultimo straordinario classico della tradizione[...]; Pasolini poeta novecentesco con il sentimento dell’antico e il senso tragico della modernità», recalcitrante testimone della trasformazione della lingua italiana.
 
(Gabriella Sica, L'artista e la croce. Caravaggio e Pasolini, in Sia dato credito all’invisibile. Prose e saggi, Marsilio, 2000) 
 
A sinistra: Bacchino malato, 1593, olio su tela cm 67x53, Roma, Galleria Borghgese, particolare.
A destra: Franco Citti nel ruolo di Vittorio Cataldi, in
Accattone di Pier Paolo Pasolini, 1961
 
Entrambi omosessuali, contraccambiarono le lusinghe dei potenti con lo sdegno e con lo scherno.
Vissero spregiudicatamente, furono coinvolti in inchieste giudiziarie devastanti, provocarono l’odio feroce dei nemici e misero a dura prova la benevolenza dei protettori. Nel finale, tragico, i loro corpi giacquero su un litorale solitario.
 
Artisti senza compromessi, vittime sacrificali, ragazzi che si rifiutano rabbiosamente di crescere. Contribuirono a cambiare il mondo.
 
Scrive Siciliano, in visita al luogo del delitto:

«La donna guardando con due occhietti ispidi e solleciti, diceva adesso a noi «Siete venuti per lui?». E indicò la panchina. «Come gridava quella notte. “Mamma, mamma: m’ammazzano”. Gridava così: poveraccio».

 




Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

 

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