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martedì 30 ottobre 2012

Eretici o Corsari? Due accostamenti difficili, ma facili. Pasolini e Gaber

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Eretici o Corsari?
Due accostamenti difficili, ma facili.
Pasolini e Gaber

“Io non sono mai stato un militante, mai tesserato, mai
propagandista. Questo essere un po’ dentro un po’ fuori, che mi è
stato anche imputato, per me è vitale.
Io credo invece nell’utopia della politica come indagine nella
realtà.”
Giorgio Gaber





“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella
che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla
voluta; dall’essermi messo in condizione di non avere niente da
perdere e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia
quello con un lettore, che io considero del resto degno di ogni più
scandalosa ricerca.”
Pier Paolo Pasolini
da: Scritti Corsari (6/10/74)



Pur non frequentandosi, Gaber e Pasolini nella prima metà degli anni Settanta portavano avanti una missione comune: cantautore, commediografo ed attore l’uno; poeta, scrittore, regista e giornalista l’altro; con le armi delle loro arti, criticavano e scuotevano le coscienze della società italiana massivamente borghese e sempre più indirizzata ad un consumismo sfrenato.

Due artisti e intellettuali “non organici”, che non temono di compromettersi
e di risultare anche scomodi, poeti d’opposizione, diversi nella libertà, che con lucida preveggenza ci svelano che “il futuro è già finito” e che sarebbe ora di tornare a privilegiare il “crescere” rispetto al “consumare”.

Come si fa per una mosca che ci ronza attorno, i due sono stati scansati perché scomodi e d’intralcio, arrivando addirittura ad uccidere barbaramente Pasolini.
Queste “mosche ronzanti” però avevano la funzione di svegliare l’individuo che inconsapevolmente, quasi ipnotizzato, si inoltrava in paludi putride e melmose.
Oggi, dopo anni, questo loro soave ronzio torna a farsi sentire con immutato impeto, a scuotere coscienze ancora impantanate. Non attraverso un rivoluzionario esperimento o per una resurrezione miracolosa ma per effetto della loro Arte che li ha resi eterni.
Attraverso l’intreccio delle loro opere, le interviste e le dichiarazioni, Pier Paolo Pasolini e Giorgio Gaber sono sopravvissuti all’assassinio e al cancro...

Io per me, se c’avessi la forza e l’arroganza
direi che non è più tempo di fare mischiamenti
che è il momento di prender le distanze, che non voglio inventarmi
più amori
che non voglio più avervi come amici, come interlocutori.
Sono diverso e certamente solo.
Sono diverso perché non sopporto il buon senso comune
ma neanche la retorica del pazzo
non ho nessuna voglia di assurde compressioni
ma nemmeno di liberarmi a cazzo
non voglio velleitarie mescolanze con nessuno
nemmeno più con voi
ma non sopporto neanche la legge dilagante del “fatti i cazzi
tuoi!”
Sono diverso, sono polemico e violento
non ho nessun rispetto per la democrazia
e parlo molto male di prostitute e detenuti
da quanto mi fa schifo chi ne fa dei miti
di quelli che mi diranno che sono qualunquista, non me ne frega
niente
non sono più compagno, né femministaiolo militante
mi fanno schifo le vostre animazioni, le ricerche popolari e le
altre cazzate
e, finalmente, non sopporto le vostre donne liberate
con cui voi discutete democraticamente
sono diverso perché quando è merda è merda
non ha importanza la specificazione...
autisti di piazza, studenti, barbieri, santoni, artisti, operai, gramsciani
cattolici, nani, datori di luci, baristi, troie, ruffiani, paracadutisti,
ufologi...
Quando è moda è moda, quando è moda è moda.

Giorgio Gaber, “Polli d’allevamento”, 1978



L’italiano di allora, come quello di ora, è un essere confuso, che crede di contare per la propria società, ma in realtà è manipolato dal consumismo e dalla televisione: il popolo italiano è affetto da una forma cronica di “cancro sociale”; dove ogni uomo non è più uomo, ma il suo sfacelo.

Un accostamento ardito quello tra Gaber e Pasolini? Non più di tanto, perché i testi svelano inediti punti di connessione tra queste due ’menti’ superbe, che hanno esaltato l’analisi socio-culturale e politica del nostro Paese, trasformandola in lucida e schietta invettiva: Gaber negli anni ce le ha cantate in tutti i modi, Pasolini non è stato da meno, ed ha usato le ’armi’ dell’inchiostro e del video. Entrambi hanno fiutato il pericolo della deriva consumistica e della omologazione culturale che avrebbe modificato in modo irreversibile il dna degli italiani. A metà degli anni ’70 Pier Paolo Pasolini pubblica i leggendari Scritti corsari, una raccolta di articoli e riflessioni sulla trasformazione dell’Italia di quegli anni. In più di una intervista Gaber commenta “sviluppo senza progresso … mi sembra la sintesi più appropriata della nostra epoca”.

Paolo Di Stefano
(Corriere della Sera, dicembre 2010 )

E in fondo la «libertà obbligatoria» su cui scherza (ma sul serio) il duo Gaber-Luporini del ’76 è la stessa dell’editorialista che se la prende con il conformismo dei capelloni. L’obiettivo comune è il conformismo ideologico - e alla fine piccolo-borghese - scambiato per ribellione e persino per rivoluzione dei costumi. L’obiettivo comune sono i polli d’allevamento che danno il titolo a un album di Gaber datato 1978. Stessa formula presente in uno scritto uscito sul «Corriere» il 1° marzo 1975 in cui Pasolini rispondeva all’accusa di sentimentalismo irrazionalistico rivoltagli da Calvino: «L’omologazione culturale ha cancellato dall’orizzonte le “piccole patrie”, le cui luci brillano ormai nel rimpianto, memorie sempre più labili di stelle scomparse. Come polli d’allevamento, gli italiani hanno indi accettato la nuova sacralità, non nominata, della merce e del suo consumo: è questa la nuova società nella quale oggi ci muoviamo, testimoni e vittime dei lutti culturali». 
Gaber non fa nessun accenno di rimpianto per le piccole patrie, ma certo non ha simpatie per «la nuova sacralità» della merce. Si veda, nello stesso album, la parabola degli «Oggetti» che prendono possesso della nostra vita: «Nel frattempo gli oggetti erano andati al potere. La loro prima vittoria era stata il superamento del concetto di utilità. Piano piano avevano occupato anche gli spazi più nascosti delle nostre case e da lì ci spiavano».
Si potrebbe continuare con altre coincidenze lessicali, come la parallela metafora cancerogena (la «metastasi» in Pasolini, il «cancro» in Gaber) che divora le coscienze. Si potrebbe, come farà lo spettacolo di Gallione, mettere a contatto il «Voto comunista perché» dichiarato dal poeta dalle colonne dell’«Unità» nel ’75 con la litania anaforica di «Qualcuno era comunista», scritta quindici anni dopo da Gaber, quasi una valutazione postuma della speranza pasoliniana.
Si potrebbero evocare le simmetrie di un anticlericalismo mai celato nell’uno e nell’altro caso. Si potrebbe anche evocare la critica dell’uomo-massa, rispetto al quale Pasolini pronuncia i suoi violenti anatemi, mentre Gaber finge un’improbabile identificazione per riuscire meglio a metterne alla berlina alienazione e psicosi.
Si dovrebbe anche per contrapposizione, affiancare il corpo comicamente flessuoso e mobile con cui Gaber si propone sulla scena a quello statuario e tragico con cui Pasolini si propose al mondo.



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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