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lunedì 8 marzo 2021

ANCHE ROMA HA UNA MAMMA - DI ALBERTO MORAVIA - 'L'ESPRESSO', 1973

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




ANCHE ROMA HA UNA MAMMA 
DI ALBERTO MORAVIA
 'L'ESPRESSO', 1973

Alberto Moravia, in occasione della morte di Anna Magnani ( 26 settembre 1973), scrisse questo articolo su 
l'Espresso numero 40, dell'ottobre 1973
oggi in 
Alberto Moravia, Cinema italiano, Recensioni e interventi 1933-1990" a cura di Alberto Pezzotta e Anna Girardelli. 





In genere non si crea il culto della personalità se prima di tutto non si è, nell’intimo, dediti a questo culto.  Si pensi, per esempio a D’Annunzio: la sua popolarità, come figura pubblica, derivava prima di tutto dal suo eccezionale narcisismo. Anna Magnani, invece, era quel raro personaggio che è un narcisista amaro, scontento, insicuro, profondamente diffidente della propria popolarità anche se incapace d’approfondire e rimuovere i motivi di questa sua diffidenza.

La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - "Quel bastardo è morto"

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia

Reportage di Wu Ming 1, scrittore

"Quel bastardo è morto"

Elisei Marcello, di anni 19, muore alle tre di notte, solo come un cane alla catena in una casa abbandonata. Muore dopo un giorno e una notte di urla, suppliche, gemiti, lasciato senza cibo né acqua, legato per i polsi e le caviglie a un tavolaccio in una cella del carcere di Regina Coeli. Ha la broncopolmonite, è in stato di shock, la cella è gelida. I legacci bloccano la circolazione del sangue. Da una cella vicina un altro detenuto, il neofascista Paolo Signorelli, sente il ragazzo gridare a lungo, poi rantolare, invocare acqua, infine il silenzio. La mattina, chiede lumi su cosa sia accaduto. "Quel bastardo è morto", taglia corto un agente di custodia. È il 29 novembre 1959.

Marcello Elisei stava scontando una condanna a quattro anni e sette mesi per aver rubato gomme d’automobile. Aveva dato segni di disagio psichico. Segni chiarissimi: aveva ingoiato chiodi, poi rimossi con una lavanda gastrica; il giorno prima aveva battuto più volte la testa contro un muro, cercando di uccidersi. I medici del carcere lo avevano accusato di "simulare". Le guardie lo avevano trascinato via con la forza e legato al tavolaccio.

Pasolini Il 21 agosto 1945 a Luciano Serra - Porzus

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Sulle montagne, tra il Friuli e la Jugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l’Italia e la Jugoslavia: così, in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi l’intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. È sorta una lotta di nazionalismi, insomma. Mio fratello, pur iscritto al Partito d’Azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com’è il Friuli, potesse esser mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno era tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza jugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido, venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c’erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.

La rabbia di Pasolini: come da un film sperimentale di montaggio può rinascere l’antica forma tragica* - di Carla Benedetti

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Eretico e Corsaro




La rabbia di Pasolini: come da un film sperimentale di montaggio può rinascere l’antica forma tragica*
di Carla Benedetti

Nel film La rabbia (1962), Pasolini taglia e rimonta pellicole di un vecchio cinegiornale, commentandole con due voci fuori campo, in prosa e in versi. Non è un documentario storico, come a volte viene erroneamente considerato, ma un esperimento cinematografico di grande interesse ancora oggi. Per la tecnica usata, e per i contenuti politici di analisi della società, esso è simile a quello che un decennio più tardi realizzerà Guy Debord con il film La société du spectacle, ma per la forma poetica e per la visione della Storia, Pasolini ci porta in tutt’altra dimensione, raramente praticata al suo tempo e anche nel nostro. Una dimensione tragica che sussume anche il politico dentro al suo più ampio orizzonte. La mia ipotesi di lettura è che questo singolare esperimento di montaggio ricrei, con i mezzi specifici del cinema, la potenza lirica ed etica dell’antico coro tragico.

Pasolini, Quattro porte su Petrolio di Carla Benedetti - Visioni, Tempi, Mondo.

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2. VISIONI

Leggiamo un passo dall’”Appunto 3".

Carlo vede venire due esseri, di una natura che non è certamente umana; ma appare tuttavia naturale, inserendosi nella logica della Visione. Si mettono uno di qua e uno di là del corpo di Carlo, coi piedi all’altezza della sua testa, e cominciano a parlare… Il primo dei due disputanti aveva un aspetto angelico, e Carlo sapeva interiormente che il suo nome era Polis; il secondo, invece, aveva un povero aspetto infernale, di miserabile; e il suo nome era Tetis. Era Polis che aveva cominciato a parlare: “Questo corpo è mio, mi appartiene. Esso è il corpo di un buono, di un obbediente…”"Sì, ma il Peso che ha dentro, invece, è mio…” ribatteva Tetis.

Finché si trovano d’accordo: Polis prenderà il corpo di Carlo, Tetis si prenderà l’altro corpo che vi è dentro. Siamo appena all’inizio di Petrolio, e già la convenzione di realtà è infranta. È avvenuta una sorta di rottura del muro del suono del realismo. Ma in una direzione che non è nemmeno surrealista (finta alternativa al realismo). È semplicemente un’altra forma di rappresentazione. Una forma che si lascia alle spalle il realismo, con tutta la sua convenzionalità, con

Pasolini, Quattro porte su Petrolio di Carla Benedetti - Banalità del potere

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Banalità del potere


Il titolo di questo secondo paragrafetto ricalca quello di Hannah Arendt, La banalità del male. Ma l’ho scelto solo perché è in antitesi al precedente (‘ le trame del potere’).
Se Pasolini non sfrutta il romanzesco del potere è anche perché gli interessa la sua banalità, la sua quotidianità, il suo rapporto con il costume, il suo essere intrecciato con la vita degli individui. Così infatti, dopo i “Lampi sull’Eni”, l’attenzione converge tutta sulla scena del ricevimento, nel salotto intellettuale della signora F.
Che cosa avviene dunque di tanto importante in questo salotto?

Avviene la collusione col potere.

Pasolini, Quattro porte su Petrolio di Carla Benedetti - Potere.

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Pasolini, Quattro porte su Petrolio di Carla Benedetti -
1) Potere
Testo presentato nel marzo 2003 a Roma nelle prime due giornate di lavoro per il ‘Progetto Petrolio’, un’idea di Mario Martone.
I numeri di pagina si riferiscono a Petrolio , Einaudi, 1992.
 

La prima porta è: potere.
La seconda: visioni.
La terza: tempi.
La quarta: mondo.
 
POTERE


L’ultima opera di Pasolini è un romanzo sul potere. Un susseguirsi di “Appunti” che si stratificano e si espandono avendo per asse il tema del potere. Perciò questa prima porta è obbligata. E’ la porta d’accesso a Petrolio, per entrare non si può che passare da qui.

Nella prima pagina del libro è scritta questa frase:

Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili (Osip Mandel’stam).

E’ l’esergo dell’opera, quasi un’iscrizione sul portone d’ingresso.
Cosa significa questa citazione nel contesto di Petrolio? E soprattutto, cosa si intende per “vincoli puerili”? Più avanti faremo qualche ipotesi. Per il momento entriamo.

1.1 Le trame del potere

Chi dice potere, dice trame. Ma anche chi dice romanzo dice trame.

Giallo Pasolini - Sul capitolo scomparso di «Petrolio» - Carla Benedetti

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Giallo Pasolini - Sul capitolo scomparso di «Petrolio»
Carla Benedetti



Che le carte di un grande scrittore, conservate a lungo nel segreto di qualche cassa, attirino molta curiosità, è più che naturale. È successo anche con le 11 lettere private di J. D. Salinger. Dopo la sua morte, avvenuta in gennaio, si è deciso di esporle alla Morgan Library di New York, le prime quattro il 16 marzo, le altre il 13 aprile. La notizia ha avuto grande eco sulla stampa internazionale. E il 16 marzo le lettere erano lì. E certo ci saranno anche le altre, alla data prevista. Ma in Italia le cose vanno in un altro modo. Dell’Utri si giustifica così: il clamore sorto attorno alla notizia ha "spaventato" chi gli aveva mostrato e promesso l’inedito. Anche le lettere di Salinger hanno suscitato clamore, ma nessuno si è tirato indietro per questo. C’è anche chi pensa che l’annuncio del senatore Dell’Utri, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, fosse un avvertimento in codice, rivolto a non si sa chi.

Il dogma sull’omicidio di Pasolini - Carla Benedetti

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Eretico e Corsaro

 
 

Il dogma sull’omicidio di Pasolini
Carla Benedetti


Continua sul “Corriere della sera” la campagna di Pier Luigi Battista contro la riapertura del processo Pasolini. Poiché i suoi argomenti sono sempre gli stessi nel tempo, ripubblico qui quello che scrissi due anni fa, quando uscì il pamphlet di Marco Belpoliti e un articolo di Battista quasi uguale a quello di ieri (CB) Alcuni esperti di Pasolini e alcuni giornalisti continuano ancora oggi, nonostante i tanti dubbi emersi negli ultimi anni, a dare per assolutamente certa la matrice sessuale dell’omicidio di Pasolini. Sono Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), Marco Belpoliti (autore del volumetto Pasolini in salsa piccante, uscito da poco Guanda), Pierluigi Battista (in un articolo sul “Corriere della sera” dell’8 novembre) e qualche altro. Come mai queste persone sono così convinte che Pasolini sia stato ucciso in una rissa omosessuale? Su cosa poggia la loro certezza? Non su prove né su indizi. Solamente su di un sillogismo.
Eccolo: Pasolini era omosessuale, rimorchiava ragazzi nelle notti romane e praticava una pericolosa sessualità sado-maso. Quindi non può che essere stato ucciso in quel modo.

La fallacia è lampante. Dalla stessa premessa può discendere benissimo anche la conclusione opposta:

Pasolini e la gogna sessuale, di Carla Benedetti

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dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 
 
Pasolini e la gogna sessuale
di Carla Benedetti


La sessualità può svelare la verità su un individuo?
Nella Volontà di sapere Foucault mostra come questa pretesa sia intrecciata a una forma di potere e di sapere sorta in età moderna. Per gli antichi il sesso era il luogo del piacere, non quello in cui si rivela qualche verità sulla persona, e di esso si occupava l’ars erotica, non la psicoanalisi o la medicina. E’ solo all’inizio del XIX secolo che i piaceri considerati “perversi” vengono medicalizzati e meticolosamente classificati: omosessualità, masochismo, sadismo, pedofilia ecc. I segreti erotici vengono resi accessibili mediante confessione, fatta non più al sacerdote ma allo psichiatra o allo psicoanalista. Così nasce la scientia sexualis che per Foucault è la spia del “sonno antropologico” in cui è caduto il pensiero occidentale tra 800 e 900.
La sessualità può svelare la verità oltre che sull’individuo anche sulla sua opera?
E’ raro che la critica letteraria avanzi una tale pretesa. Salvo in un caso: Pier Paolo Pasolini. Quando si tratta delle sue opere la scientia sexualis si scatena in un singolare sessuocentrismo inerpretativo, che finisce a volte per sbaragliare ogni altro sapere, filologico e filosofico.
Un esempio. Sul “Corriere della sera” del 1 marzo scorso Pietro Citati recensiva Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi con queste parole: “Ai tempi di Petrolio, Pasolini aveva quasi completamente perduto la squisita gioia erotica, che aveva dato tenerezza e morbidezza alle sue opere giovanili … Ora voleva essere posseduto, dominato, violentato … Solo così poteva contemplare il sacro”.
Citati, uno dei critici letterari più accreditati, dice di non conoscere Petrolio. Ma pur non conoscendo l’opera, aderisce con entusiasmo alla lettura che ne fa Trevi, tutta incentrata sulla sessualità di Pasolini e le sue ritualità sado-maso, mangiandosi ogni altra considerazione sull’opera. Trevi definisce Petrolio “cronaca di un’iniziazione” o anche “libro sacro”, proprio per il suo carattere iniziatico (un “movimento di metamorfosi-iniziazione-morte innescato senza possibilità di ripensamento o passi indietro”) e che ha molti punti di contatto con i riti dei misteri eleusini. Un libro perciò comprensibile solo da “iniziati”, cioè da chi abbia “familiarità con la violenza e soprattutto con la ritualità sadomaso”. E infatti secondo Trevi, un solo studioso ha finora potuto comprenderlo, Massimo Fusillo, non perché più bravo ma perché ha la “vocazione” del “Master” e “una delle sue pratiche preferite è lo spanking, ovvero le sculacciate”.Petrolio quindi non parla del potere, di come attrae gli individui, degli effetti che ha sulle loro vite, della mutazione antropologica, dell’Italia delle stragi, del lucore cosmico, della sopravvivenza dell’arcaico nel moderno e di molto altro? No. Parla solo di cose interne al soggetto che scrive: “Tutto quello che Pasolini scriveva negli ultimi anni era il frutto di un scoperta che riguardava lui stesso, non il mondo esterno”. Una cosa simile forse non si direbbe nemmeno di un cane che abbaia nella notte. Giacché se il padrone si sveglia e va a vedere se c’è un ladro, vuol dire che interpreta quel baccano come riguardante il mondo esterno, non gli stati d’animo dell’animale. E quale sarebbe poi la “scoperta” che Pasolini avrebbe fatto su se stesso? Sempre la stessa: “il fascino della violenza, il desiderio di subire, di sottomettersi”.
Io non sono tra quelli che negano in via di principio che elementi della biografia dell’autore possano arricchire la comprensione di un’opera. Come si potrebbe del resto dimenticare l’omosessualità di Proust leggendo la Recherche? O, leggendo L’idiota, che Dostoevskij soffriva di epilessia? Ma per Pasolini si verifica qualcosa di più singolare. Le pratiche erotiche estreme a cui si dice che lo scrittore si dedicasse negli ultimi anni e notti della sua vita diventano l’unica chiave interpretativa dell’opera. Non quella che arricchisce l’interpretazione, ma quella che la esaurisce.Non credo sia dia l’analogo per altri autori pur con biografie erotiche d’eccezione, sia etero che omosessuali. Nemmeno per de Sade. A romanzi come La filosofia nel boudoir o Le 120 giornate di Sodoma non si nega di poter significare qualcosa di più dell’eros dell’autore, di dire delle verità sulla natura umana, sulla società, di esprimere un pensiero, persino una critica dell’illuminismo. Alle ultime opere di Pasolini lo si nega spesso. Cominciò Sanguineti a dire che Petrolio e Salò non erano che documenti di una patologia. Fortini parlò di “illeggibile referto di un’autodistruzione”. Il curatore dell’opera omnia di Pasolini, Walter Siti, chiude quel monumento di migliaia e migliaia di pagine invitandoci a leggere, in quella proliferante scrittura, il sintomo di una tendenza “masochistica” a “mettere in piazza” i “panni sporchi” per “autodistruggersi”. Si noti: documenti, referti, cronache, sintomi, ma non opere. Per loro Pasolini non produce romanzi o film. Pasolini si confessa. E senza bisogno di medico o psicoanalista. La confessione è la sua opera. Di cosa è sintomo questa tendenza di tanti letterati italiani a ridurre l’opera di Pasolini a sintomo o confessione?

La sessualità può svelare la verità oltre che sull’individuo e la sua opera, anche sul suo omicidio?
Delle tre questa è la pretesa più aberrante. Dalle abitudini sessuali della vittima si vuole dedurre la matrice sessuale dell’omicidio (su cui invece non c’è alcuna certezza). Come dire: uno dedito a quel tipo di esperienze erotiche non può che morire ammazzato. Tanto va la gatta al lardo… Qui non viene meno solo il rigore ermeneutico ma anche la logica e il senso civile della verità, che non si fermano a ciò che è verosimile, ma chiedono fatti e prove.
“La follia sacra che distrusse Pasolini” è il titolo che il “Corriere” ha dato all’articolo di Citati. In che senso lo distrusse? Nello spirito o nel corpo massacrato all’Idroscalo? Questa disinvoltura nel passare dal piano metaforico al fattuale, facendo collassare le categorie logiche in una torbida melassa sessuo-misteriosofica, si riscontra anche nelle dichiarazioni di Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), nei cinque libri di Giuseppe Zigaina (scritti per dimostrare che Pasolini avrebbe “organizzato” la propria morte per entrare nel mito), nel pamphlet di Marco Belpoliti Pasolini in salsa piccante, che sostiene fideisticamente la matrice sessuale dell’omicidio, invitando a non parlarne più.
Trevi è più prudente, ma si muove nella stessa ambiguità: “Nessuna iniziazione può aggirare la necessità della morte. Perché possa accedere alla visione suprema (…) l’uomo dovrà sbarazzarsi di se stesso”. Di nuovo, si parla di morte rituale o reale? Di morte cercata o inferta a tradimento? Per lui non c’è ragione di disambiguare. Tanto Pasolini si era già trasformato in uno “spettro” ben “prima della notte dell’Idroscalo”. Io non so chi abbia ucciso Pasolini né se l’omicidio sia di matrice “politica”. Non ho certezze. Perciò non mi riconosco nella categoria dei “complottisti” che Trevi (con la stessa superficialità di ragionamento che Pierluigi Battista usa da anni sul “Corriere”) appiccica su tutti coloro che chiedono di far luce su quel delitto ancora oscuro. Quello che so, come chiunque abbia seguito la vicenda, è che la versione ufficiale della morte per rissa sessuale vacilla sempre più sotto le contraddizioni emerse e rese pubbliche negli ultimi anni. Gli scrittori e i giornalisti che continuano a ricamare sulla “bella” morte, “sacrificale” o “iniziatica”, del poeta omosessuale, forse non si rendono conto di contribuire all’occultamento della verità?

(Questo articolo è uscito in una versione più breve su “Venerdì” di “Repubblica” dell'8 giugno 2012)


di Carla Benedetti,
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Curatore, Bruno Esposito

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