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domenica 7 febbraio 2021

Pier Paolo Pasolini, da La nuova gioventù - Saluto e augurio

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini, da La nuova gioventù
Saluto e augurio 


A è quasi sigùr che chista

a è la me ultima poesia par furlàn;

e i vuèj parlàighi a un fassista
prima di essi (o ch’al sedi) massa lontàn.


È quasi sicuro che questa è la mia ultima poesia in friulano: e voglio parlare a un fascista, prima che io, o lui, siamo troppo lontani.


Al è un fassista zòvin,

al varà vincia un, vincia doi àins:
al è nassùt ta un paìs,
e al è zut a scuela in sitàt.

È un fascista giovane, avrà ventuno, ventidue anni: è nato in un paese ed è andato a scuola in città.


Al è alt, cui ociàj, il vistìt

gris, i ciavièj curs:
quand ch’al scumìnsia a parlàmi
i crot ch’a no’l savedi nuja di politica

È alto, con gli occhiali, il vestito grigio, i capelli corti: quando comincia a parlarmi, penso che non sappia niente di politica


e ch’al serci doma di difindi il latìn

e il grec, cuntra di me; no savìnt
se ch’i ami il latin, il grec - e i ciavièj curs.
Lu vuardi, al è alt e gris coma un alpìn.

e che cerchi solo di difendere il latino e il greco contro di me; non sapendo quanto io ami il latino, il greco - e i capelli corti. Lo guardo, è alto e grigio come un alpino.


"Ven cà, ven cà, Fedro.

Scolta. I vuèj fati un discors
ch’al somèa un testamìnt.
Ma recuàrditi, i no mi fai ilusiòns

"Vieni qua, vieni qua, Fedro. Ascolta. Voglio farti un discorso che sembra un testamento. Ma ricordati, io non mi faccio illusioni


su di te: jo i sai ben, i lu sai,

ch’i no ti às, e no ti vòus vèilu,
un còur libar, e i no ti pos essi sinsèir:
ma encia si ti sos un muàrt, ti parlarài.

su di te: io so, io so bene, che tu non hai, e non vuoi averlo, un cuore libero, e non puoi essere sincero: ma anche se sei un morto, io ti parlerò.


Difìnt i palès di moràr o aunàr,

in nomp dai Dius, grecs o sinèis.
Moùr di amòur par li vignis.
E i fics tai ors. I socs, i stecs.

Difendi i paletti di gelso, di ontano, in nome degli Dei, greci o cinesi. Muori d’amore per le vigne. Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.


Il ciaf dai to cunpàins, tosàt.

Difìnt i ciamps tra il paìs
e la campagna, cu li so panolis,
li vas’cis dal ledàn. Difìnt il prat

Per il capo tosato dei tuoi compagni. Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato


tra l’ultima ciasa dal paìs e la roja.

I ciasàj a somèjn a Glìsiis:
giolt di chista idea, tènla tal còur.
La confidensa cu’l soreli e cu’ la ploja,

tra l’ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi di questa idea, tienla nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia, 


ti lu sas, a è sapiensa santa.

Difìnt, conserva prea. La Repùblica
a è drenti, tal cuàrp da la mari.
I paris a àn serciàt, e tornàt a sercià

lo sai, è sapienza sacra. Difendi, conserva, prega! La Repubblica è dentro, nel corpo della madre. I padri hanno cercato e tornato a cercar


di cà e di là, nass’nt, murìnt,

cambiànt: ma son dutis robis dal passàt.
Vuei: difindi, conservà, preà. Tas:
la to ciamesa ch’a no sedi

di qua e di là, nascendo, morendo, cambiando: ma son tutte cose del passato. Oggi: difendere, conservare, pregare. Taci! Che la tua camicia non sia


nera, e nencia bruna. Tas! Ch’a sedi

’na ciamesa grisa. La ciamesa dal siun.
Odia chej ch’a volin dismòvisi
e dismintiàssi da li Paschis...

nera, e neanche bruna. Taci! che sia una camicia grigia. La camicia del sonno. Odia quelli che vogliono svegliarsi, e dimenticarsi delle Pasque...


Duncia, fantàt dai cialsìns di muàrt,

i ti ài dita se ch’a volin i Dius
dai ciamps. Là ch’i ti sos nassùt.
Là che da frut i ti às imparàt

Dunque, ragazzo dai calzetti di morto, ti ho detto ciò che vogliono gli Dei dei campi. Là dove sei nato. Là dove da bambino hai imparato 


i so Comandamìns. Ma in Sitàt?

Scolta. Là Crist a no’l basta.
A coventa la Gl’sia: ma ch’a sedi
moderna. E a coventin i puòrs.

i loro Comandamenti. Ma in Città? Là Cristo non basta. Occorre la Chiesa: ma che sia moderna. E occorrono i poveri


Tu difìnt, conserva, prea:

ma ama i puòrs: ama la so diversitàt.
Ama la so voja di vivi bessòj
tal so mond, tra pras e palàs

Tu difendi, conserva, prega: ma ama i poveri: ama la loro diversità. Ama la loro voglia di vivere soli nel loro mondo, tra prati e palazzi


là ch’a no rivi la peràula

dal nustri mond; ama il cunfìn
ch’a àn segnàt tra nu e lòur;
ama il so dialèt inventàt ogni matina,

dove non arrivi la parola del nostro mondo; ama il confine che hanno segnato tra noi e loro; ama il loro dialetto inventato ogni mattina,


par no fassi capì; par no spartì

cun nissùn la so ligria.
Ama il sorel di sitàt e la miseria
dai laris; ama la ciar da la mama tal fì.

per non farsi capire; per non condividere con nessuno la loro allegria. Ama il sole di città e la miseria dei ladri; ama la carne della mamma nel figlio


Drenti dal nustri mond, dis

di no essi borghèis, ma un sant
o un soldàt: un sant sensa ignoransa,
un soldàt sensa violensa.

Dentro il nostro mondo, dì di non essere borghese, ma un santo o un soldato: un santo senza ignoranza, o un soldato senza violenza.


Puarta cun mans di sant o soldàt

l’intimitàt cu’l Re, Destra divina
ch’a è drenti di nu, tal siùn.
Crot tal borghèis vuàrb di onestàt,

Porta con mani di santo o soldato l’intimità col Re, Destra divina che è dentro di noi, nel sonno. Credi nel borghese cieco di onestà,


encia s’a è ’na ilusiòn: parsè

che encia i parons, a àn
i so paròns, a son fis di paris
ch’a stan da qualchi banda dal momd.

anche se è un’illusione: perché anche i padroni hanno i loro padroni, e sono figli di padri che stanno da qualche parte nel mondo.


Basta che doma il sintimìnt

da la vita al sedi par diciu cunpàin:
il rest a no impuàrta, fantàt cun in man
il Libri sensa la Peràula.

È sufficiente che solo il sentimento della vita sia per tutti uguale: il resto non importa, giovane con in mano il Libro senza la Parola.


Hic desinit cantus. Ciàpiti

tu, su li spalis, chistu zèit plen.
Jo i no pos, nissun no capirès
il scàndul. Un veciu al à rispièt

Hic desinit cantus. Prenditi tu, sulle spalle, questo fardello. Io non posso: nessuno ne capirebbe lo scandalo. Un vecchio ha rispetto


dal judissi dal mond; encia

s’a no ghi impuarta nuja. E al à rispièt
di se che lui al è tal mond. A ghi tocia
difindi i so sgnerfs indebulìs,

del giudizio del mondo: anche se non gliene importa niente. E ha rispetto di ciò che egli è nel mondo. Deve difendere i suoi nervi, indeboliti,


e stà al zoùc ch’a no’l à mai vulùt.

Ciàpiti su chistu pèis, fantàt ch’i ti mi odiis:
puàrtilu tu. Al lus tal còur. E jo ciaminarai
lizèir, zint avant, sielzìnt par sempri

e stare al gioco a cui non è mai stato. Prenditi tu questo peso, ragazzo che mi odii: portalo tu. Risplende nel cuore. E io camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre 


la vita, la zoventùt.

la vita, la gioventù".







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Pasolini, LA RESISTENZA E LA SUA LUCE - Con traduzione di Brandon Brown

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

I contributi dei visitatori

Salvatore Fittipaldi
 
 
 
Pasolini, LA RESISTENZA E LA SUA LUCE
Con traduzione di Brandon Brown
 

L’uomo non è niente altro che quello che progetta di essere.
Jean Paul Sartre


Questa «pura luce», irradiata dal gesto politico, riaccendeva il ricordo di un’altra luce intravista qualche anno prima sulle colline bolognesi di Paderno.È questa la luce originaria, la luminosità Re-esistente, che orienterà l’impegno artistico e civile del poeta, proteso a percorrere una vita che afferma la centralità di quella primigenia fonte luminosa, nella quale egli si era immerso, ancora giovane, per sortirne uomo:

Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile….
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.

LA RESISTENZA E LA SUA LUCE
da La religione del mio tempo, in Pier Paolo Pasolini, Bestemmia.
Tutte le poesie, vol. I, Garzanti, Milano 1993.


Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe di nuovo nella luce…
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce divenne incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano…
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dell’eternità dello stile…
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
Pier Paolo Pasolini

 
 
The Resistance and Its Light

Pier Paolo Pasolini
translated by Brandon Brown
 

so I came to the days of the Resistance
I didn’t know anything but style
it was a style made totally of light
memorable recognition
of sun. It could never fade
not even for an instant
even as Europe trembled
on its deadliest evening
we escaped from Casarsa
with our stuff in a cart
to a ruined village
among canals and vineyards it was pure light
my brother left, it was a mute morning
March, in a train, disguised
his pistol in a book it was pure light
he lived a long time in the mountains
which shone like paradise in the blue gloom
of Friulian plains it was pure light
in the attic of our farmhouse my mother
always stared at those mountains
hopeless, she saw the future it was pure light
with a few poor people I lived
a glorious life, persecuted
by despicable rhetoric it was pure light
the day of death came
Independence Day, the martyred world
knew itself again in the light…
the light was the thought of justice
I didn’t know what kind of justice
all light equal to all other light
then it changed, the light like an uncertain morning
a waxing dawn that spread all over
Friulian fields and canals
struggling workers in the light
the rising dawn was a light I mean
beyond the eternity of style
in history, justice has been
the realization of a humane
distribution of money, hope
maybe, brighter than that
new light

Fonte:http://www.poets.org/poetsorg/poem-day?utm_medium=email&utm_campaign=Poem-a-Day%20%20March%204%202015&utm_content=Poem-a-Day%20%20March%204%202015%20CID_05d7b32742832c9f3ff459fb32eef64a


Pier Paolo Pasolini rievoca in una lettera la morte del fratello Guido, iscritto a "Giustizia e libertà", ucciso in un agguato da un gruppo di partigiani di diverso orientamento ideale, comunisti vicini a Tito. Lo scrittore friulano si sente erede degli ideali civili libertari per i quali il fratello è morto.
Nel gennaio del ’45 era con Bolla e Enea a Porzùs, dove gli osovani si stavano riorganizzando dopo il disastroso rastrellamento del novembre. Frattanto Guido si era iscritto al Partito d’Azione. Il giorno in cui Bolla e Enea furono ammazzati egli si trovava a Musi con l’amico D’Orlandi per non so che missione; e stavano tornando insieme verso Porzùs. Ed ecco che alcuni loro compagni (i quali, dislocati in una malga sottostante, si erano accorti del tradimento, e si stavano ritirando), avvisarono i due ragazzi del pericolo. Ma essi non vollero saperne di tornare sui loro passi, e anzi si slanciarono di corsa verso Porzùs per portare aiuto agli amici! […] Spesso penso al tratto di strada tra Musi e Porzùs percorso da mio fratello in quel giorno tremendo; e la mia immaginazione è fatta radiosa da non so che candore ardente di nevi, da che purezza di cielo. E la persona di Guido è così viva. "

Il 21 agosto 1945 così scrisse a Luciano Serra:

"Bisognerebbe essere capaci di piangerlo sempre senza fine, perché solo questo potrebbe essere un poco pari all’ingiustizia che lo ha colpito. Eppure la nostra natura umana è tale che ci permette di vivere ancora, di risollevarci, perfino, in qualche momento. Perciò l’unico pensiero che mi conforta è che io non sono immortale; che Guido non ha fatto altro che precedermi generosamente di pochi anni in quel nulla verso il quale io mi avvio. E che ora mi è così famigliare; la terribile oscura lontananza o disumanità della morte mi si è così schiarita da quando Guido vi è entrato. Quell’infinito, quel nulla, quell’assoluto contrario ora hanno un aspetto domestico; c’è Guido, mio fratello, capisci, che è stato per vent’anni sempre vicino a me, a dormire nella stessa stanza, a mangiare nella stessa tavola. Non è dunque così innaturale entrare in quella dimensione così a noi inconcepibile. E Guido è stato così buono così generoso da dimostrarmelo, sacrificandosi pel suo fratello maggiore, forse a cui voleva troppo bene a cui credeva troppo."

Pier Paolo Pasolini
 
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Pier Paolo Pasolini - Io sono una forza del passato. Video.

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dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini
Io sono una forza del passato...

[da Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964] 

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.
 







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Pasolini - La passione del '45

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




La passione del '45

(Questa poesia P.P.Pasolini la dedicò al fratello Guido (Ermes) partigiano delle Brigate Osoppo fucilato a Porzus (Friuli) dai gappisti. )


Epigrafi

Coi tuoi occhi infossati
i capelli leggeri,
il volto deciso
il riso impetuoso
e il silenzio insistente...
Tu non chiedevi altro che meritare
le più alte delle nostre parole:
e adesso è chiaro
quel tuo pudico tacere e gridare,
quel tuo umiliarti
e adirarti.
Tu cercavi in noi, inutilmente,
il tuo cuore...
È chiaro il tuo volto sofferente,
è chiaro il tuo riso
è chiaro il tuo pudore,
è chiara la tua innocenza,
e il tuo darti agli altri
smanioso di' offrirti,
di testimoniare
con forza giovanile
il tormento,
con la violenza la pietà.
Nei tuoi ritratti,
le tue vesti, i tuoi libri,
non sentiremo più la tua vita.
La tua giovinezza
non splende per noi chinata
sulla terra dell' orto
e non splendono i tuoi capelli.
Fu un vento ignoto a spirare
sul tuo mondo, su te,
e vi ha tutto sconvolto.
Libertà, la tua bocca ridente,
Libertà, la tua fronte pallida,
Libertà, le tue spalle leggere.
Poi il vento è caduto.
Dispersa la tua vita,
stringi nel pugno la tua fede.
Dai silenzi della tua vita
torna solo la voce
della tua fede silenziosa.
Possiamo noi pronunciare le parole
per cui hai dato il tuo corpo
temendo di non dare troppo?
Italia, Libertà...
e parole più umane, amore,
E a chi non vi creda
mostra le mutate
nel terribile sangue
che era di tua madre.
Fu questo il tuo gioco
per cui tua madre attende
d'essere morta,
nient' altro,
in questa estranea terra.
Ma che cosa ci hai dato?
Qualcosa di immenso,
e tu lo sapevi,
ragazzo,
lo sapevi morendo solo
sotto gli alberi testimoni
e la neve calpestata dai piedi
che andavano alla morte.
Qui in Italia
le nubi possono ora solcare il cielo
e il vento scuotere gli alberi,
l'Isonzo e gli altri fiumi
correre al mare...
Nella nostra Italia
gli uccelli possono cantare,
esser verdi le foglie
e giocare i ragazzi.
Il sole può illuminare le acque
e la pioggia cadere
e sui monti brillare la neve.
Tu non puoi essere,
tu che ci hai dato la neve
la pioggia, la luce,
i venti, le nubi...
-
Gridiamo: Amore,
gridiamo forte Amore,
che ne risuonino i monti,
e le valli,
e tuoni nelle orecchie: Amore!
C'è un ragazzo,
un candido morto,
che vive in quel grido.

.


Fonte:

http://guerrillaradio.iobloggo.com/1330/pier-paolo-pasolini-la-passione-della-sua-poesia-per-la-resistenza

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Pasolini, Verso le Terme di Caracalla

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Verso le Terme di Caracalla
Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, 1961


Vanno verso le Terme di Caracalla
giovani amici, a cavalcioni
di Rumi o Ducati, con maschile
pudore e maschile impudicizia,
nelle pieghe calde dei calzoni
nascondendo indifferenti, o scoprendo,
il segreto delle loro erezioni...
Con la testa ondulata, il giovanile
colore dei maglioni, essi fendono
la notte, in un carosello
sconclusionato, invadono la notte,
splendidi padroni della notte...

Va verso le Terme di Caracalla,
eretto il busto, come sulle natie
chine appenniniche, fra tratturi
che sanno di bestia secolare e pie
ceneri di berberi paesi - già impuro
sotto il gaglioffo basco impolverato,
e le mani in saccoccia - il pastore migrato
undicenne, e ora qui, malandrino e giulivo
nel romano riso, caldo ancora
di salvia rossa, di fico e d'ulivo...

Va verso le Terme di Caracalla,
il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato,
con nello chassì i ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,

rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po' gobba,
due cosce certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccocce della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando:
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una còfana o un catino:
non muore chi non è mai nato.

Vanno verso le Terme di Caracalla

 
Fonte:
http://www.club.it/autori/grandi/pierpaolo.pasolini/poesie.html
 
 
 
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Pasolini, L'alba meridionale

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L'alba meridionale, è un componimento inserito nel volume "Poesia in forma di rosa" (1961-1964), Garzanti, Milano 1964.

Poesia in forma di rosa, che esce, sempre da Garzanti, nel 1964 è composta da componimenti che vanno dal '61 al '63, più un lungo poemetto in appendice intitolato Vittoria ed è la più ampia delle raccolte di Pasolini.
In essa Pasolini afferma in modo ossessivo la delusione per gli sviluppi della vicenda politica e intellettuale italiana e gli pare ormai inutile tutta la dialettica, piena di illusioni, degli anni cinquanta. Il poeta, deluso e amareggiato, abiura quel mondo di ideali giovanili che ritiene perduto per sempre.
Nasce con questa raccolta il mito della "Nuova Preistoria" "quando la Società ritornerà natura" dovuto alla delusione stessa della storia e dalla presa di coscienza che "la Rivoluzione non è più che un sentimento" e a fondarla saranno i barbari, cioè le plebi meridionali e del Terzo Mondo.
La raccolta si presenta con una grande differenziazione sia tecnica che linguistica nella metrica e nello stile. I poemetti in terzine, nei quali il poeta esprime la volontà di costruire, si alternano alle sequenze di endecasillabi e ai versi tra le dieci e le tredici sillabe senza divisioni strofiche ai quali si accostano brani di prosa ritmati. Ultimo l'espediente della disposizione grafica che appare nella Seconda poesia in forma di rosa, dove le parole sono disposte in modo da richiamare la forma di un petalo di rosa.


l’alba meridionale

[ viene trascritta solo la seconda parte ]

II

Torno, ritrovo il fenomeno della fuga
del capitale, l’epifenomeno (infimo)
dell’avanguardia. La polizia tributaria
(quasi accertamento filosofia)
sugli incartamenti di un poeta)
fruga in quel fatto privato che sono i soldi,
contaminati da carità, dolenti
di inspiegabili consunzioni, e pieni
di senso di colpa, come il corpo da ragazzi:
però con mia gongolante leggerezza perché qua,
non c’è da accertare nulla, se non la mia ingenuità.
Torno, e trovo milioni di uomini occupati
soltanto a vivere come barbari discesi
da poco su una terra felice, estranei
ad essa, e suoi possessori. Così nella vigilia
della Preistoria che a tutto ciò darà senso,
riprendo a Roma le mie abitudini
di bestia ferita, che guarda negli occhi,
godendo del morire, i suoi feritori...

Torno... e una sera il mondo è nuovo,
una sera in cui non accade nulla - solo,
corro in macchina - e guardo in fondo
all’azzurro le case del Prenestino -
le guardo, non me ne accorgo, e invece,
quest’immagine di case popolari
dentro l’azzurro della sera, deve
restarmi come un’immagine del mondo
(davvero chiedono gli uomini altro che vivere?)
- case qui piccole, muffite, di crosta bianca,
là alte, quasi palazzi, isole color terra,
galleggianti nel fumo che le fa stupende,
sopra vuoti di strade infossate, non finite,
nel fango, sterri abbandonati, e resti
d’orti con le loro siepi - tutto tacendo
come per notturna pace, nel giorno. E gli uomini
che vivono in quest’ora al Prenestino
sono affogati anch’essi in quelle strie
sognanti di celeste con sognanti lumi
- quasi in un crepuscolo che mai
si debba fare notte - quasi consci,
in attesa di un tram, alle finestre,
che l’ora vera dell’uomo è l’agonia -
e lieti, quasi, di ciò, coi loro piccoli,
i loro guai, la loro eterna sera -
ah, grazia esistenziale degli uomini,
vita che si svolge, solo, come vera,
in un paesaggio dove ogni corpo è solo
una realtà lontana, un povero innocente.

Torno, e mi trovo, prima d’un appuntamento
da Carlo o Carlone, da Nino a Via Rasella
o da Nino a Via Borgognone in una zona
oggetto di mie sole frequentazioni...
Due o tre tram e migliaia di fratelli
(col bar luccicante sullo spiazzo,
e il dolore, spento nelle coscienze italiane,
d’essere poveri, il dolore del ritorno a casa,
nel fango, sotto nuove catene di palazzi)
che lottano, si colpiscono, si odiano tra loro,
per la meta di un gradino sul tram, nel buio,
nella sera che li ignora, perduti in un caos
che il solo fatto d’appartenere a un rione remoto
lo delude nel suo essere una cosa reale.
Io mi ritrovo il vecchio cuore, e pago
il tributo ad esso, con lacrime
ricacciate, odiate, e nella bocca
le parole della bandiera rossa,
le parole che ogni uomo sa, e sa far tacere.
Nulla è mutato! siamo ancora negli Anni Cinquanta!
siamo negli Anni Quaranta! prendete le armi!
Ma la sera è più forte di ogni dolore.
Piano piano i due tre tram la vincono
sulle migliaia di operai, lo spiazzo
è quello dei dopocena, sul fango, sereno,
brilla il chiaro d’una baracca di biliardi,
la poca gente fa la coda, nel vento
di scirocco di una sera del Mille, aspettando
il suo tram che la porti alla buia borgata.
La Rivoluzione non è che un sentimento.



Alba meridionale - di Pier Paolo Pasolini - legge Massimo Sannelli



Fonte:
http://www.club.it/autori/grandi/pierpaolo.pasolini/poesie.html

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