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venerdì 29 gennaio 2021

PASOLINI , LA FORMA DELLA CITTÀ - con Video e un saggio di Roberto Chiesi

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



PASOLINI E...  LA FORMA DELLA CITTÀ 

di Roberto Chiesi

 (Ringrazio Roberto Chiesi, per il cortese consenso alla pubblicazione)



Negli   anni   Settanta,   nonostante   il   servile   conformismo   che   già   allora   la caratterizzava,  la  RAI  produceva  ancora  qualche  programma  culturale  di  valore.  La serie Io e..., curata da Anna Zanoli, un’ex allieva di Roberto Longhi, era senz’altro una delle trasmissioni più intelligenti e riuscite. Un intellettuale, uno scrittore o un artista italiano  veniva  sollecitato  a  parlare  di  un’opera  d’arte  prediletta:  si  susseguirono,  fra gli  altri,  gli  interventi  di  Eugenio  Montale,  Cesare  Zavattini,  Andrea  Zanzotto, Tommaso  Landolfi,  Mario  Luzi,  Federico  Fellini,  e  altri.  Ogni  programma  durava circa un quarto d’ora ed era diretto da registi diversi, come Luciano Emmer e Paolo Brunatto.  
Nell’inverno   del   1973-‘74,   quando   gli   proposero   di partecipare   ad   una trasmissione,  Pier  Paolo  Pasolini  sulle  prime  disse  che  avrebbe  parlato,  non  di  un quadro o di un libro, ma dei vecchi casolari di campagna. Poi mutò idea e si orientò su un’anonima  fontana  di  Roma,  priva  di  valore  artistico,  ma  caratterizzata  da un’identità  sociale  particolare  come  luogo  di  ritrovo  di  prostitute  e  lenoni.  Scartata anche  questa  soluzione,  decise  di  parlare  di  Orte  e  Sabaudia,  due  città  che  amava molto e che appartenevano alla sua vita, perché da qualche anno possedeva un’antica torre e un’abitazione nel bosco del fiume Chia, vicino a Orte, e la sua casa al mare si trovava proprio a Sabaudia. 

In realtà, la scelta di quei due luoghi, così legati all’esistenza di Pasolini, divennero il pretesto per denunciare la speculazione edilizia, che stava devastando il paesaggio di  Orte,  ossia  l’armonia  fra  le  colline  e  la  natura  circostante  e  l’antica  cittadina medievale.  Un’armonia  che  aveva  resistito  per  secoli,  ma  che  venne  deturpata nell’arco di pochi anni da alcune recenti abitazioni, costruite nel modo più arbitrario e senza rispettare il disegno del paesaggio. Fu lo stesso Pasolini a dirigere la mdp per mostrare lo scempio mentre la sua voce dolorosa e assorta, esprimeva un’indignazione profonda.  Il  poeta-regista  introdusse,  poi,  l’inserimento  di  alcuni  frammenti  di Le mura  di  Sana’a,  un  bellissimo  cortometraggio  che  aveva  girato  a  Sana’a,  la  capitale dello Yemen del nord, al termine delle riprese che aveva effettuato in quei luoghi de Il  Decameron.    Era  una  città  stupenda  e  antichissima  che  la  modernità  stava minacciando di distruzione. Ritornando a commentare le immagini di Orte, Pasolini precisò che “mentre per Orte si può parlare soltanto di un lieve danneggiamento, di un difetto, per quello che riguarda, invece, la situazione dell’Italia, delle forme delle città nella nazione italiana, la situazione è decisamente irrimediabile e catastrofica”. Il poeta  esaltò,  poi,  la  bellezza  umile  di  un’antica  stradina  di  Orte  e  insistette 81sull’importanza  di  difendere  e  preservare  un  patrimonio  artistico  di  urbanistica  e edilizia popolare che aveva una grazia estetica mai più ripetuta. 

Sabaudia  è  percorsa  dallo  sguardo  di  Pasolini  in  una  “grigia  luce  lagunare”  e  le forme massicce degli edifici costruiti in piena epoca fascista sono descritte con parole inattese  dal  poeta-regista,  ricordando  l’ironia  che  gli  intellettuali,  lui  compreso, hanno  riservato  all’architettura  del  regime.  “Il  passare  degli  anni  ha  fatto  sì  che quest’architettura  di  carattere  littorio,  assuma  un  carattere,  diciamo  così,  tra metafisico e realistico. (...) Come ci spieghiamo un fatto simile, che ha del miracoloso? Una   città   ridicola,   fascista,   improvvisamente   ci   sembra   così   incantevole...”. Arrestatosi su una spiaggia di Sabaudia, battuta dal vento invernale, Pasolini si rivolge direttamente alla mdp e concludendo il cortometraggio, ecco che lo trasforma in uno “scritto corsaro” in forma di immagini, condensando alcuni degli argomenti della sua geniale  polemica  contro  l’omologazione  che  aveva  intrapreso  da  pochi  mesi  sulle pagine  del  “Corriere  della  sera”.  Il  paesaggio  urbano  di  Sabaudia  rivela  oggi  una  sua grazia  perché,  in  realtà,  il  fascismo  non  è  riuscito  a  distruggere  l’Italia  popolare, rustica  e  contadina,  mentre  il  potere  della  società  dei  consumi,  con  le  armi  della televisione e il cancro dell’omologazione, sta distruggendo il paese nel profondo della sua identità. 

Trasmessa  per  la  prima  volta  il  7  febbraio  1974  dalla  RAI, La  forma  della  città  è firmata da Paolo Brunatto, ma costituisce uno di quei casi “impuri”, tutt’altro che rari nel cinema, in cui l’apporto di chi è filmato assume un rilievo così forte da assorbirne, in  un  certo  senso,  la  paternità:  infatti,  in  questo  cortometraggio,  Pasolini,  oltre  ad assegnare  al  film  il  respiro  della  propria  dialettica,  scelse  e  decise  numerose inquadrature. Non a caso, inserì nella versione definitiva di Le mura di Sana’a alcune sequenze girate a Orte in quell’occasione e, in un’intervista a Gideon Bachmann (La perdita  della  realtà  e  il  cinema  inintegrabile,  13  settembre  1974),  lo  attribuì  a  se stesso. 

Libero, la rivista del documentario
PIER PAOLO PASOLINI n. 2  settembre-novembre 2005 
© Fondazione Libero Bizzarri Edizioni & Autore

PASOLINI (con una telecamera e rivolto a Ninetto) :

Io ho scelto una città, la città di Orte, cioè praticamente ho scelto come tema la forma di una città, il profilo di una città. Ecco, quello che vorrei dire è questo: io ho fatto un'inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta, ed è più o meno un'inquadratura così... Basta che io muova questo affare qui nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo. C'è quella casa che si vede là a sinistra, la vedi? Ecco, questo è un problema di cui io parlo con te, perché non sono capace di parlare in astratto, rivolto al vuoto, al pubblico televisivo che non so dov'è, dove si trova. Parlo con te che mi hai seguito in tutto il mio lavoro e mi hai visto molte volte alle prese con questo problema. Tante volte sono andato a girare fuori dall'Italia, in Marocco, in Persia, in Eritrea, e tante volte avevo il problema di girare una scena in cui si vedesse una città nella sua completezza, nella sua interezza, e quante volte mi hai visto soffrire, smaniare, bestemmiare perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualcosa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c'entrava con questa forma della città, con questo profilo della città, così severo.
Siamo adesso di fronte a Orte da un altro punto di vista. C'è la solita bruma azzurro-bruna della grande pittura nordica rinascimentale. Se la inquadro, vedo un totale ancora più perfetto di quello di prima. Cioè la forma della città è proprio nella sua perfezione massima. Ma se panoramico da sinistra a destra, quello che ti dicevo prima risulta in modo ancora molto più grave. Infatti la città, dal nostro punto di vista all'estrema destra, finisce con uno stupendo acquedotto su quel terreno bruno. E immediatamente attaccate all'acquedotto ci sono altre case moderne, dall'aspetto non dico orribile, ma estremamente mediocre, povero, senza fantasia, senza invenzione; insomma case popolari, che sono assolutamente necessarie, non dico di no, ma che lì sono un altro elemento disturbatore della perfezione della forma della città di Orte, come la casa che abbiamo visto prima. Ora cos'è che mi dà tanto fastidio, anzi direi quasi una specie di dolore, di offesa, di rabbia, nella presenza di quelle povere case popolari, che comunque devono esserci? Il problema era semmai quello di costruirle da un'altra parte, insomma, di prevedere di poterle costruire da un'altra parte. Dunque, che cos'è che mi offende in loro? E il fatto che appartengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completamente diversi da quelli dell'antica città di Orte e la mescolanza delle due cose infastidisce, è un'incrinatura, un turbamento della forma, dello stile.
Questo io forse lo soffro in modo particolare, non soltanto perché ho un senso estetico forse esagerato, eccessivo, da anima bella, ma anche perché ho tanto lavorato su dei film storici, in cui questo problema era proprio un problema pratico. Perché questo non è un difetto solo italiano, ma è un difetto di tutto il mondo ormai, soprattutto del Terzo Mondo. Non so, per esempio in Persia, dove c'è un regime completamente diverso dal nostro, dove c'è una specie di imperatore, lo Scià, lì succedono le stesse cose, forse ancora peggiori. Per esempio, mi viene in mente una stupenda città che si chiama Yazd, sul Golfo Persico vicino al deserto, una città meravigliosa perché tutte le città avevano un sistema di ventilazione antico, di due, tremila anni fa, che era rimasto intatto: delle colonnine che raccoglievano il vento e lo facevano entrare dentro la città. Quindi il panorama della città era dominato da questa specie di ventilatori che sembravano un po' dei tempietti greci arcaici o egiziani, insomma, una cosa stupenda. Beh, questa città, quando sono arrivato lì io, era distrutta, come se ci fosse stato un bombardamento a tappeto. Lo Scià la faceva distruggere per dimostrare ai suoi sudditi, al suo popolo, che la Persia era un paese moderno, che avanzava, eccetera eccetera. Ma questo succede anche in paesi che sono esattamente il contrario della Persia, cioè in paesi comunisti: lo stato dell'Aden del Sud, lo stato di Aden, dove c'è al governo addirittura un gruppo di comunisti estremisti. Bene, lì, c'era un'antica città sul mare che si chiama Al Mukalla. Questa città di Al Mukalla aveva verso la terraferma una stupenda porta, gigantesca, di granito, bianca come tutto il resto della città. Ora siccome anche ad Al Mukalla un pochino il traffico è aumentato, dopo la liberazione dello stato di Aden dagli emiri eccetera eccetera, c'era qualche furgone in più e la porta era stretta, cosa hanno fatto? L'hanno fatta saltare, ed erano fieri di aver fatto saltare questa stupenda porta. Dicevano addirittura con grande fierezza «la rivoluzione ha liberato Al Mukalla da questo ingombro del passato». Senza parlare di Sana'a, ti ricordi? Quella stupenda città dello Yemen del Nord posata sul deserto come una specie di rustica Venezia, che stanno già distruggendo, hanno già praticamente finito di distruggere tutte le mura che la circondavano e quindi davano la sua forma, quella assolutezza meravigliosa delle città antiche.
Oppure nel Nepal, che è effettivamente ancora molto intatto, soprattutto la città di Bhatgaon, è ancora quasi com'era tremila anni fa, però Katmandou è già praticamente distrutta in quanto forma, rimangono i monumenti, ma non è dei monumenti che si tratta, non son quelli il problema, quelli è facile salvarli, è l'intera forma della città che è difficile salvare. Dunque questo è un problema che si pone in tutti i paesi del mondo, ma naturalmente ciò che mi turba e mi ferisce di più è che questo avvenga in Italia.
Una fotografia recente della città di Orte. In primo piano, l'acquedotto, seminascosto dagli alberi.
Ora, a proposito della città di Orte, vorrei aggiungere una cosa: avendo io scelto come tema del mio argomento la forma della città, vorrei precisare che la forma della città si manifesta, appare, si rivela se confrontata con un fondale naturale. Perciò la forma della città di Orte appare in quanto tale perché è sulla cima di questo colle bruno, divorato dall'autunno, con questa curvatura davanti e contro il cielo grigio. Ora, quelle case che ti ho citato prima, quelle case popolari, che cosa vengono a turbare? Vengono a turbare, soprattutto, il rapporto fra la forma della città e la natura. Ora il problema della forma della città e il problema della salvezza della natura che circonda la città, sono un problema unico. Ma sempre si pone il problema di rispettare il confine naturale tra la forma della città e la natura circostante. Ora il caso della città di Orte è un caso ancora bellissimo. Ecco, il panorama è ancora praticamente perfetto, a parte questo difetto sia pur doloroso che ti ho detto. Ma mentre per Orte si può parlare soltanto di lieve danneggiamento, di difetto, per quel che riguarda in generale la situazione dell'Italia, delle forme delle città nella nazione italiana, la situazione è invece decisamente irrimediabile e catastrofica.
Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, è un'umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d'arte, d'autore, stupende, della tradizione italiana, eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un'opera d'arte di un grande autore. Esattamente come si deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima come la poesia d'autore, come la poesia di Petrarca o di Dante, eccetera eccetera. E così il punto dove porta questa strada, quella antica porta della città di Orte, anche questo non è quasi nulla, vedi? Sono delle mura semplici, dei bastioni, dal colore così, grigio, che in realtà nessuno si batterebbe (con rigore, con rabbia) per difendere questa cosa. E io ho scelto invece proprio di difendere questo. Quando dico che ho scelto come oggetto di questa trasmissione la forma di una città, la struttura di una città, il profilo di una città, voglio proprio dire questo: voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende e che è opera, diciamo così, del popolo, di un'intera storia, dell'intera storia del popolo di una città. Di una infinità di uomini senza nome, che però hanno lavorato all'interno di un'epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi, più assoluti, nelle opere d'arte d'autore. Ed è questo che non è sentito, perché chiunque, con chiunque tu parli, è immediatamente d'accordo con te nel dover difendere un'opera d'arte d'un autore, un monumento, una chiesa, la facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico ormai è assodato. Ma nessuno si rende conto che invece quello che va difeso è proprio questo anonimo, questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare.
Eccoci di fronte alla struttura, alla forma, al profilo di un'altra città immersa in una specie di grigia luce lagunare, benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea. Si tratta di Sabaudia. Quanto abbiamo riso noi intellettuali sull'architettura del regime, sulle città come Sabaudia. Eppure adesso osservando questa città proviamo una sensazione assolutamente inaspettata. La sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo. Il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere, diciamo così, tra metafisico e realistico. Metafisico in un senso veramente europeo della parola, cioè ricorda mettiamo la pittura metafisica di De Chirico, e realistico perché, anche vista da lontano, si sente che le città sono fatte, come si dice un po' retoricamente, a misura d'uomo. Si sente che dentro ci sono delle famiglie costituite in modo regolare, delle persone umane, degli esseri viventi completi, interi, pieni, nella loro umiltà.
Come ci spieghiamo un fatto simile che ha del miracoloso? Una città ridicola, fascista, che improvvisamente ci sembra così incantevole? Bisogna esaminare un po' la cosa, cioè: Sabaudia è stata creata dal regime, non c'è dubbio, però non ha niente di fascista, in realtà, se non alcuni caratteri esteriori. Allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere. E questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente, non è riuscito a incidere, nemmeno scalfire lontanamente la realtà dell'Italia. Sicché Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico, estetizzante, accademico, non trova le sue radici nel regime che l'ha ordinata, ma trova le sue radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente ma che non è riuscito a scalfire. Dunque, è la realtà dell'Italia provinciale, rustica, paleo-industriale eccetera eccetera, che ha prodotto Sabaudia, e non il fascismo.
Ora invece succede il contrario. Il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce ad ottenere perfettamente: distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha, che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. E allora questa acculturazione sta distruggendo, in realtà, l'Italia; allora posso dire senz'altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l'Italia. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che, in fondo, non ce ne siamo resi conto, è avvenuto tutto in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni. È stato una specie di incubo, in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi e sparire. Adesso, risvegliandoci forse da questo incubo e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c'è più niente da fare.

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1973 TRASH [ Trash - I rifiuti di New York ] - Pier Paolo Pasolini

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1973 TRASH [ Trash - I rifiuti di New York ]


Il film esce in Italia nel 1973 con il titolo I rifiuti di New York. Il doppiaggio, curato da Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini.


Regia di Paul Morrissey

Traduzione e adattamento dialoghi: Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini

Doppiaggio: a cura di Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini

STORIA:
Il film Trash, prodotto da Andy Warhol per la regia di Paul Morrissey, fa parte della trilogia «Flesh», «Trash» e «Heat». Girato nel corso di otto sabati pomeriggio, uscì il 5 ottobre 1970 e fu presentato nella Settimana Internazionale della Critica al Festival di Cannes 1971. Nell’edizione italiana la relazione omosessuale diventa una relazione fra ragazzo e ragazza. Il doppiaggio, curato da P.P. Pasolini e Dacia Maraini, fece uso di voci che non avevano mai seguito corsi di dizione.


TRAMA:
In un lurido stanzone convivono la transgender Olly (Holly Woodlawn), volitiva e viziosa, e Joe (Joe Dallesandro), tossicomane e impotente. Fra insulti e riconciliazioni, ognuno dei due accetta o cerca ogni possibile avventura. Olly vede nella gravidanza della sorella Diane (Diane Podel) la soluzione ai loro problemi e la possibilità di far disintossicare Joe: si prenderà il bambino e potrà avere un ricco sussidio. Ma il funzionario comunale, maniaco feticista, non riuscendo a farsi vendere le scarpe di Olly, le rifiuta il sussidio. I due giovani allora, proprio nel momento in cui sono abbandonati come rifiuti tra i rifiuti, ritrovano una scintilla di dignità e decidono di aiutarsi a sopravvivere in qualche modo.

BIBLIOGRAFIA:
- P.P. Pasolini, Trash di Paul Morissey. Dialoghi italiani di Pier Paolo Pasolini, in FILMCRITICA Anno XXIV nn. 238/240, Roma, 1973 (ottobre/dicembre); pp. 325-360.


Fonte:
L’ARENGARIO STUDIO BIBLIOGRAFICO
IL CINEMA DI PIER PAOLO PASOLINI
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Filmografia completa
EDIZIONI DELL’ARENGARIO



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