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lunedì 31 agosto 2020

MALASTORIA - L’Italia ai tempi di Cefis e Pasolini Pier Paolo - di Giovanni Giovannetti

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 



LA STORIA D’ITALIA E PASOLINI. DALLA MORTE NEL 1945 DEL FRATELLO PARTIGIANO A PORZÛS ALLE STRAGI DEGLI ANNI SESSANTA E SETTANTA, NELL’OMBRA DEL NEOFASCISMO E DELLA P2.

 MALASTORIA 

L’Italia ai tempi di Cefis e Pasolini Pier Paolo. 

GIOVANNI GIOVANNETTI

Pasolini da Casarsa e Eugenio Cefis da Cividale. Lo scrittore corsaro e il grintoso manager pubblico dall’oscuro passato militare, prima come fucilatore di partigiani in Jugoslavia, poi in veste di partigiano in Val d’Ossola. Cefis, il massone confratello nella loggia segreta Giustizia e Libertà di Piazza del Gesù, omologa alla P2 del Grande Oriente d’Italia e di Licio Gelli. Cefis, quel grande elemosiniere della politica intento a coltivare progetti autoritari intrecciando la sua trama sull’ordito delle lobbies politico-finanziarie, della Massoneria occulta e degli ambienti militari. Siamo negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, anni di minacce di golpe e vere bombe di Stato, spacciate per anarchiche. E sono bombe messe da coloro che mirano a ripristinare l’ordine a fronte del disordine da loro stessi procurato. Pasolini scrive di politica e società sulla prima pagina del “Corriere della Sera”, un giornale che dall’agosto 1975 (poco prima che lo scrittore venga ucciso) cade in mano proprio al presidente di Montedison Eugenio Cefis, finanziatore occulto dei Rizzoli, che formalmente ne sono i proprietari. Pasolini sta anche scrivendo Petrolio, un romanzo sul nuovo Potere (con la maiuscola) di cui Cefis, chiamato Troya, è uno dei principali protagonisti: il vicepresidente dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni) coinvolto nell’uccisione del presidente Enrico Mattei. Quindi Pasolini sta inconsapevolmente raccogliendo notizie, foto e altri documenti su colui che nel frattempo è diventato un suo editore. Malastoria prova a immergere la vita e l’opera di Pasolini nelle profondità della penombra storica e antropologica del Paese: negli eventi che l’hanno toccato personalmente (come, ad esempio, l’omicidio del fratello Guido a Porzûs del febbraio 1945) e in quelli che hanno poi catturato la sua attenzione di cittadino e di intellettuale poiché, lo ha scritto Franco Fortini, la sua vita e la sua opera sono da mettere in relazione alle «stagioni della sua attività».

• Cefis, il partigiano fucilatore di partigiani. La poco lusinghiera pagina slovena del sottotenente dell’Esercito italiano Eugenio Cefis, quell’«esatto esecutore di ordini» impartiti nel 1942 da un manipolo di “criminali di guerra”. 

• L’onorevole proto-gladiatore. L’intrepida figura dell’onorevole Giovan Battista Carron (l’ex partigiano osovano Vico) che funge da cerniera tra l’Ufficio zone di confine di De Gasperi e Andreotti e i gruppi paramilitari nell’Est del Paese. Per tramite di Carron, l’Ufficio paga anche le parcelle agli avvocati del processo per i fatti di Porzûs, ma solo a quelli dell’accusa. 

• Carron aiuta Pasolini... a lasciare il Friuli. «Caro Pasolini, se non la smette con la propaganda comunista dovrà affrontare perniciose reazioni», parola dell’onorevole proto-gladiatore. Più precisamente, fa sapere Carron, o Pasolini «la smette di militare nel Partito comunista o gli sarebbe stato tolto l’incarico di insegnante di scuola pubblica». Ciò che avverrà sul finire del 1949; e Pasolini, rimasto senza lavoro, dovrà fuggire a Roma. 

• Il raccomandato. Dovendo ripartire da zero, nella capitale Pasolini vive una disperante condizione economica. In quell’Italia delle raccomandazioni e dell’esercizio clientelare del potere lo scrittore si rivolge allora ai democristiani e conterranei Tiziano Tessitori (il “padre” dell’’autonomia regionale del Friuli) e... Giovan Battista Carron (sì, il proto-gladiatore), per ottenere un lavoro in Rai o alla Enciclopedia italiana. Ma un posto come insegnante alla scuola parificata di Ciampino, Pasolini lo avrà solo grazie al fascista ferrarese Casimiro Fabbri, poeta e funzionario della Pubblica istruzione. 

• Pasolini, Petrolio e Piazza Fontana. «Uno di questi cade davanti ai suoi piedi di notte dal quarto piano di una clinica (D’Ambrosio). Uno muore cadendo nella tromba dell’ascensore». Lo scrive Pasolini in Petrolio,e sembra sapere che il giudice milanese Gerardo D’Ambrosio, indagando su piazza Fontana, ha dovuto giocoforza inciampare sulla morte non proprio accidentale di Vittorio Ambrosini (ex collaboratore del generale dell’Arma e dei Servizi Giuseppe Pièche). Ambrosini partecipa a una riunione nella sede romana del gruppo neonazista di Ordine nuovo, là dove, presente un deputato del Msi, era stata presa la decisione di «andare a Milano e buttare per aria tutto». Ambrosini verrà “suicidato” a Roma il 20 settembre 1971, precipitando dal quarto piano del policlinico Gemelli, la clinica presso cui è ricoverato, proprio come si legge in Petrolio. Sappiamo nome e cognome anche di colui che in Petrolio «muore cadendo nella tromba dell’ascensore»:si tratta di Alberto Muraro, un ex carabiniere, portinaio dello stabile padovano in cui abita il terrorista nero Massimiliano Fachini, protetto dai Servizi: Muraro si accingeva a confermare al giudice istruttore Carmelo Ruberto la responsabilità del gruppo di Freda e Ventura in alcuni attentati compiuti a Padova poco prima della strage di Milano. 

• Cefis capo della P2? Secondo una informativa Sismi del 1983, Eugenio Cefis sarebbe stato il vero capo della loggia massonica P2. Non resta che fidarsi, poiché a sostegno di questa ipotesi abbiamo solo indizi. Cefis era massone. Viene iniziato il 15 settembre 1961 dalla Gran loggia di Piazza del Gesù, gli scismatici “gesuiti”, così chiamati per distinguerli dai “giustinianei” del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani (le due maggiori chiese della Massoneria italiana): era il confratello “OHN - 05371 / S. 15” della esclusiva loggia “coperta” Giustizia e Libertà, retta dal venerabile Giorgio Ciarrocca e riservata ai nomi più in vista, l’equivalente “gesuita” della Propaganda 2 “giustinianea”. Nel 1973 la riunificazione delle due chiese pare a un passo. Il Gran maestro di piazza del Gesù Francesco Bellantonio – un ex funzionario dell’Eni – firma un protocollo d’intesa, ma il tentativo fallirà miseramente. E tuttavia Licio Gelli era stato lesto a muoversi cooptando quasi tutti gli iscritti alla Giustizia e Libertà di Piazza del Gesù. Cosa ha fatto Cefis?aderisce?(come ha aderito il banchiere della Mafia Michele Sindona o il procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo o il popolare comico e imitatore Alighiero Noschese) si è messo “in sonno”? ne è divenuto il vertice occulto? L’informativa Sismi parrebbe accreditare quest’ultima ipotesi, ma nell’incompleto elenco dei 962 piduisti sequestrato a Gelli nel marzo 1981 il suo nome non figura, né si incontrano quelli degli altri confratelli della loggia Giustizia e Libertà. E tuttavia non si dimentichi che lo stesso venerabile, intervistato da “l’Espresso” il 10 luglio 1976, dice che la P2 sommava 2.400 aderenti. 

• Cefis e il “Corriere”. Dal 1974 il “Corriere della Sera” passa progressivamente sotto controllo piduista: formalmente, i proprietari (Crespi, Agnelli, Moratti) lo cedono al gruppo Rizzoli; in realtà i soldi li mette la Montedison presieduta da Cefis, garantendo un finanziamento senza interessi con una fidejussione ai Rizzoli della Montedison International Holding di Zurigo (che raccoglie tutte le principali partecipazioni industriali e commerciali estere del gruppo) e la promessa – poi disattesa – di ripianare il 50 per cento dell’assai elevato debito del quotidiano. L’accordo tra Montedison International Establishment con sede a Vaduze Rizzoli International, discretamente sottoscritto a Lugano il 6 agosto 1975 (attenzione alle date: tre mesi dopo ammazzano Pasolini), promette un finanziamento di 10 miliardi e 650 milioni di lire per l’acquisto dell’intera proprietà, nonché prestazioni pubblicitarie garantite per almeno 2 miliardi e mezzo l’anno, suddivise in comode rate trimestrali di 650 milioni. Ma il patto svizzero subordina altresì al gradimento di Cefis la scelta del capo redattore delle pagine economiche del “Corriere”; e impone anche a tutte le pubblicazioni del Gruppo editoriale “Corriere della Sera” di svolgere, a decorrere dal 1° luglio 1975, «una intensa costante azione volta a sostenere, con ogni più opportuno intervento ed iniziativa, l’attività industriale e commerciale di Montedison Spa e dell’intero suo gruppo», e in particolare di minimizzare le ricadute ambientali e sulla salute di cittadini e lavoratori provocate da questo gigante della chimica. Cefis ambirebbe anche a dettare la linea editoriale al principale quotidiano italiano: come si legge al punto “2.d” dell’accordo, Rizzoli si impegna «a garantire l’appoggio del l’intero suo Gruppo editoriale all’atteggiamento di Montedison sui grandi temi della politica economica nazionale». Dal 1973 Pasolini è tra i più letti e discussi collaboratori del “Corriere”, di cui è ormai un polemista di punta. Pasolini descrive un nuovo Potere violento e totalizzante, del tutto esemplificabile nel timoniere di Montedison. Va anche raccogliendo notizie su di lui, il neo-padrone segreto del quotidiano, nonché figura-chiave del romanzo che sta scrivendo: Petrolio. Quindi Pasolini sta inconsapevolmente raccogliendo notizie, foto e altri documenti su colui che nel frattempo è diventato un suo editore. 

• Il colonnello Santoro e l'autista dei Marsigliesi. Tra i protagonisti più defilati della stagione stragista andrà ricordato il colonnello dei Carabinieri e agente dei Servizi segreti Michele Santoro. Santoro è amico fraterno del criminologo Aldo Semerari (il teorico della santa alleanza tra malavita organizzata e destra eversiva) nonché uomo di collegamento tra l’Arma e i Nuclei in difesa dello Stato. Santoro è anche il fornitore di tritolo, proveniente dal Genio militare, di cui dispone il gruppo terroristico della Fenice (l’articolazione milanese di Ordine nuovo) per alcuni attentati sui treni da compiere nell’estate 1974. Per il giudice Guido Salvini è lecito «ritenere che Santoro fosse uno stabile punto di riferimento per i gruppi di estrema destra». Ebbene, nel marzo 1976 sarà Santoro a far espatriare l’autista dei “Marsigliesi” Antonio Pinna, uno dei componenti del “misto” di neofascisti e criminali comuni (almeno sette persone) che la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 massacrano Pasolini. 

Indice:


Da Porzûs a Gladio
Nel nome Di Dio, 4 - Tra pianti e pianti e pianti, 6 - La Evelina va a morire, 16 - Alberto e Marconi, 18 - Fratelli coltelli, 25 - I monarchici, i repubblicani e gli indifferenti, 27 - Delitti sul lago, 30 - Alla fiera dell'Est, 36 - Fronte unico antislavo, 41 - Intorno a Porzûs, 49 - Bolla, 53 - «Pier Paolo carissimo...», 60 - La croce e il fucile, 72 - Noi vogliam Dio Patria Famiglia, 76 - Guerra non ortodossa, 79 - Il grande fratello, 87 - L’onorevole protogladiatore, 97 - «Il mio corpo nella lotta», 103 - Paramilitari di Stato, 105 - Che cos’è la verità?, 112 - Le due chiese, 115 - I fatti di Ramuscello, 120.

Clero
Il paradiso fiscale, 137 - Tu chiamale se vuoi, raccomandazioni, 140 - Lo stipendio
fisso, 145 - Viva la Rai, 146 - Il colpo dello Strega, 148 - La casa e la chiesa, 150 - Lo Ior tiene Banco, 160.

Stragi, atto primo
Come la santissima trinità, 169 - Chi spara a Portella?, 177 - Operazione malavita,
185 - A Pola come a Portella, come a piazza Fontana, 194 - Foibe?, 199 - Di nuovo canta la mitraglia, 212.

Boom
L’Italia del boom, 225 - Solo Carabinieri, o quasi, 241 - Il testimone, 246 - L’Amerikano, 259 - Venditore di materassi, 269 - L'interferenza Pasolini, 273 - Nasco, 284 - Uomini tutti d’un prezzo, 286 - L’Italia del boom: bombe e stragi, 289 - Legionari e infiltrati, 292 - Si ammazza troppo poco, 320 - Dodici dicembre, 323. 

Stragi, atto secondo
Piazza Fontana, trent’anni dopo, 333 - L’Antiquario, il Paracadutista e l’Anello, 341 - L’altra “verità”, 345 - E se le bombe fossero state due?, 348 - Tora tora, 355 - Poi ci sono i “tragici ragazzi”, 363 - Brescia, piazza della Loggia, 364 - Italicus, 376 - La piramide rovesciata, 390 - 2 agosto 1980, 393 - Le altre “verità”, 402 - Mafiocrazia, 406 - Un Paese di primule e cemento, 413.

L’onorato presidente
Tra la Sicilia e il West, 426 - Burattini e burattinai, 429 - Delitto senza castigo, 437 - Mattei, De Mauro, Pasolini, 448 - L’oro e il piombo, 454 - Cefis piduista?, 459 - Chi è il “vero” capo?, 465 - Il romanzo delle stragi, 468 - Pasolini come Pecorelli?, 478 - Il grande vecchio, 482 - «Se fate debiti, vi maledico», 486 - Pagine roventi, 492 - Come corsari sulla filibusta, 496 - Pagine mancanti, 503 - «Come qualcuno che mi spia di nascosto», 507 - Mattinali, 512 - Mortedison, 529.

Trasformismo
Retrobotteghe oscure, 538 - «Le verità stanno nella penombra», 539 - Opposizione al potere, 543 - Vi odio, cari poliziotti, 551 - Il Pci e il suo doppio, 565.

Il colore del sangue
Eroina di Stato, 569 - «Mistici della democrazia», 576 - Soccorso nero, 578 - Il criminologo, 580 - Rossi e neri, 584 - Attenti a quei tre, 588 - Siamo tutti in pericolo, 598 - Chi sono i Marsigliesi?, 611 - Le iene, 614 - Il colore del sangue, 624.

Fonti

Indice dei nomi e dei luoghi

GIOVANNI GIOVANNETTI (Lucca, 1955). Editore e giornalista. Tra i suoi libri: Belfast. Appunti sulla realtà nord-irlandese (1981), Diario polacco. Immagini di un anno di sindacato libero (1982), Ritorno a Danzica (con A. Sowa, 2004), Sprofondo nord (2011), Frocio e basta (con C. Benedetti, 2012 e 2016), Comprati e venduti (2013), Indagine su Leonardo (2015), Bananopoli (2019), Il tamburo di lotta (2020). 

 



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

giovedì 6 agosto 2020

Pier Paolo Pasolini, Un manifesto per la cultura d'opposizione - Libertà dell'autore e liberazione degli spettatori - L'Unità, domenica 15 gennaio 1984

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Un manifesto per la cultura d'opposizione
Libertà dell'autore e liberazione degli spettatori

Pier Paolo Pasolini
L'Unità, domenica 15 gennaio 1984

(Trascrizione curata da Bruno Esposito)

Il testo di Pier Paolo Pasolini che qui presentiamo è a tuttora inedito e venne, infatti, letto, assente il suo autore (doveva trovarsi a Cannes per la proiezione di Medea appena uscito), al 15° convegno cineasti incentrato sul tema «Libertà dell'autore e liberazione degli spettatori», svoltosi ad Assisi per conto della Pro Civitate Cristiana dal 10 al 12 aprile 1970. Tra 1 partecipanti erano Marco Bellocchio, Orazio Costa, Nanni Loy, Damiano Damiani, Pio Baldelli. e 1'ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede.
La breve relazione introduttiva fu tenuta da Lucio S.Caruso, intellettuale di matrice giovannea, che fu con Pasolini in un viaggio in Palestina per i sopralluoghi che precedettero la realizzazione del Vangelo secondo Matteo, uno di quei cattolici avanzati, venuti attorno a «La Clttadella» che ricercarono la collaborazione dello scrittore-regista. Ad essa fecero seguito interventi di uno psicologo, Ancona, e di un filosofo, Enrico Chiavacci, il quale sostenne che allo sforzo di autoliberazione richiesto agli artisti dovesse rispondere il superamento degli impedimenti esterni. «La vera immoralità dell'arte è il fare della produzione artistica un commercio», così in un passaggio della sua relazione. Dopodiché fu diffusa la comunicazione di Pasolini.
Pur dichiarandosi marxista sui generis, l'autore di Accattone era lungi dall'ignorare la massa di condizionamenti, in primo luogo economici e strutturali, ma poi anche Ideologici, che gravavano sul lavoro espressivo. La cripticità della scrittura di Teorema, e di Porcile, è in fondo una risposta, passionale più che logica, agli impedimenti e alle manipolazioni di sistema (oggi si direbbe dell'apparato delle comunicazioni di massa) Il testo pasoliniano segue febbrilmente una precisa linea di pensiero, nella sua intonazione più puntuale si surroga una misura intuitiva e coscienziale, lampeggiante di illuminazioni. Si capisce insomma che è alle soglie la svolta dell'ultimo periodo, che farà di Pasolini uno dei grandi testimoni tragici e visionari della nostra epoca, insieme con pochi altri, Genet, Mishima, Fassbinder. Le sue argomentazioni attraverso un inesausto bilanciamento tra speranza e angoscia ci danno conto della produzione di quegli anni, equilibrate contraddittoriamente tra attesa di futuro {Appunti per un'Orestiade africana) e pulsioni di morte (Medea, Ostia, Decameron).
Oggi che il dibattito sulla scrittura si indugia a considerare il ruolo della produzione, del genere, degli schemi ritornanti, che senso rivestono le posizioni pasoliniane?
Sul piano dell'elementarietà immediata, non può non colpire la loro valenza di alterità. Infatti la loro modernità, paradossalmente, come il lettore vedrà, risiede nell'assoluta infungibilità alle idee dominanti.  È uno del punti centrali della discussione che si è svolta intorno a Pasolini. Ma a nostro vedere nei suoi spunti non ci sono sintomi di arretratezza o di anacronismo.
Ringraziamo per la pubblicazione di questo testo la cugina di Pier Paolo, Graziella Chiorcossi. 

Gualtiero De Santi


Libertà dell'autore e liberazione degli spettatori.


Mi trovo, come uno scolaro, a svolgere un tema: «Libertà dell'autore e liberazione degli spettatori»: tema dettato nello stile spiritualistico del cattolicesimo avanzato pre-giovanneo, e aggiornato poi, con autentica passione, in questi ultimi anni, caratterizzati dal pragmatismo. Tale stile è quindi 'ambiguo»: si colloca tra la genericità spiritualistica e la precisione pragmatica: e io, scolaro un po'confuso, mi trovo costretto prima di tutto (anzi forse esclusivamente) a esercitare un esame meta linguistico sul tema che mi è dato da svolgere.
Le parole del tema sono quattro: «libertà», «autore», «liberazione», «spettatore». Esaminiamole.

1) «LIBERTÀ»


Dopo averci ben pensato ho capito che questa parola misteriosa non significa altro, infine, nel fondo di ogni fondo, che «libertà di scegliere la morte». E ciò è scandaloso, perché ciò che conta è vivere: su questo i cattolici (la vita è sacra perché ce l'ha data Dio) e i comunisti (bisogna vivere per adempiere il nostro dovere verso la società) sono d'accordo. Anche la natura è d'accordo: e, per aiutarci ad essere amorosamente attaccati alla vita, ci fornisce del cosiddetto «istinto di conservazione». Senonché, a differenza dei cattolici e dei comunisti, la natura è ambigua: e infatti ci fornisce anche dell'istinto opposto, cioè quello del desiderio di morire. Questo conflitto, che non è contraddittorio — come vorrebbe la nostra mente razionale e dialettica — ma oppositorio e quindi non progressivo, non capace di sintesi o di mistiche, si svolge nel fondo della nostra anima. Nel fondo inconoscibile, com'è ben noto. Ma gli «autori» sono gli incaricati a rendere come possono manifesto ed esplicito tale conflitto. Essi
hanno infatti la mancanza di tatto e la completa inopportunità necessaria a rivelare in qualche modo di «desiderare di morire» e di venir meno quindi alle norme dell'istinto di conservazione: o, più semplicemente, alla CONSERVAZIONE. La libertà è dunque un attentato autolesionistico alla conservazione. La libertà non può essere manifestata altrimenti che attraverso un grande o un piccolo martirio. E ogni martire martirizza se stesso attraverso il carnefice conservatore.
Per restare al nostro campo — quello dello stile, poesia o cinema —si può allora dire che ogni infrazione del codice — operazione necessaria all'invenzione stilistica — è un'infrazione alla conservazione: e quindi è l'esibizione di un atto autolesionistico: per cui qualcosa di tragico e di ignoto è scelto al posto di qualcosa di quotidiano e di noto (la vita).
Vorrei accentuare la parola esibizione. La vocazione alle piaghe del martirio che l'autore fa a se stesso nel momento in cui trasgredisce l'istinto di conservarsi, sostituendolo con quello di perdersi, non ha senso se non è resa esplicita al massimo: se non è appunto esibita. In ogni autore, nell'atto di inventare, la libertà si presenta come esibizione della perdita masochistica di qualcosa di certo. Egli nell'atto inventivo, necessariamente scandaloso, si espone — e proprio alla lettera — agli altri: allo scandalo appunto, al ridicolo, alla riprovazione, al senso di diversità, e perché no?, all'ammirazione, sia pure un po'sospetta. C'è in fondo il piacere «che si ha in ogni attrazione del desiderio di vedere la morte.

2) «AUTORE»


Se un facitore di versi, di romanzi, di films, trova omertà, connivenza o comprensione nella società in cui opera, non e un autore. Un autore non può che essere un estraneo nella terra di xenofobi: ed infatti abita la morte anziché abitare la vita, e il sentimento che gli suscita è un sentimento, più o meno forte, di odio razziale. Poiché solo chi non crede in nulla (anche se si illude di credere in qualcosa) può avere amore per la vita (l'unico amore vero, dico, che non può che essere «del tutto disinteressato»), evidentemente un autore ama la vita. Ma il suo amore non ha che qualche tratto comune e riconoscibile: tratto comune e riconoscibile spiegato dal fatto che egli è, oggi, piccolo—borghese tra piccoli—borghesi, e spesso anche egli ha l'illusione piccolo—borghese della realtà del mondo e della storia, e quindi dei doveri a cui per lealtà obbedire. Ma, che egli lo sappia o non lo sappia, in realtà egli non crede in nulla, crede cioè nel contrario della vita: ed è questa sua fede che egli esprime lacerandosi con ferite di testimonianza. E l'amore disinteressato per la vita che gli deriva da questo suo totale pessimismo (pur mascherato talvolta da idealismi piccolo—borghesi) non può avere che dei tratti oscuri e irriconoscibili, che diffondono intorno a lui uno stato di disagio e di panico, superabile solo perchè in fondo tutti gli uomini sono autori in potenza, dotati cioè di un ignoto e inconfessato istinto di morte, per definizione anti-conservatore.

3) «SPETTATORE»




Lo spettatore, dell'autore, non è che un altro autore. E qui ha ragione lui, e non i sociologi, i politici, i pedagogisti ecc. Se infatti lo spettatore fosse in condizione subalterna rispetto all'autore, se egli fosse cioè l'unità di una massa (sociologi), o un cittadino da catechizzare (politici) o un bambino da educare (pedagogisti) allora non si potrebbe parlare neanche di autore, che non è né un assistente sociale, né un propagandista, né un maestro di scuola. Se dunque parliamo di opere di autore, dobbiamo di conseguenza parlare di rapporto tra autore destinatario di un drammatico rapporto tra singoli e singolo (democraticamente pari). Lo spettatore non è colui che non comprende, che si scandalizza, che odia, che ride; lo spettatore è colui che comprende, che simpatizza, che ama, che si appassiona. Tale spettatore è altrettanto scandaloso che l'autore: ambedue infrangono l'ordine della conservazione che chiede o il silenzio o il rapporto in un linguaggio comune e medio.


4) «LIBERAZIONE»


Stando così le cose non si può parlare di 'liberazione» dello spettatore né in senso sociologico (libertà dal consumo di massa), né in senso politico (libertà dalle idee sbagliate), né in senso pedagogico (libertà dall'ignoranza). Anzi, in realtà non si potrebbe neanche parlare di «liberazione», perché lo spettatore REALE è già LIBERO. Si dovrebbe piuttosto parlare di «libertà dello spettatore»: e, in tal caso, bisognerebbe definire questa sua libertà. Infatti la «libertà» dello spettatore, pur essendo quest'ultimo, come ho detto, pari all'autore, e quindi usufruendo della sua stessa libertà di morire — sia di immolarsi nel misto di piacere e dolore in cui consiste la trasgressione della normalità conservatrice — nel momento in cui egli è spettatore, dissociando pragmaticamente la propria figura da quell'autore, egli gode di un altro tipo di libertà, che non saprei dire se integra o rovescia la definizione di libertà che ho dato sopra.
La libertà specifica dello spettatore consiste nel GODERE DELLA LiBERTA' ALTRUI.
In un certo senso quindi lo spettatore codifica l'atto incodificabile compiuto dall'autore che inventa, producendo su se stesso ferite più o meno gravi, e con questo asserendo la sua libertà di scegliere il contrario della vita regolamentatrice, e di perdere ciò che la vita ordina di risparmiare e conservare. Lo spettatore, in quanto tale, gode l'esempio di tale libertà, e come tale la oggettiva: la reinserisce nel parlabile. Ma ciò avviene al di fuori di ogni «integrazione»: in un certo senso al di fuori della società (la quale infatti non integra solo lo scandalo dell'autore ma anche la comprensione scandalosa dello spettatore). E un rapporto tra singolo e singolo, che avviene sotto il segno ambiguo degli istinti e sotto il segno religioso (non confessionale) della carità. La libertà negativa e creatrice dell'autore è riportata al senso (che essa vorrebbe perdere), dalla libertà dello spettatore, in quanto, ripeto, essa consiste nel godere della altrui libertà.

Pier Paolo Pasolini



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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