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martedì 8 marzo 2016

Pier Paolo Pasolini: fare chiarezza sulla morte per "riappropriarci" del Poeta - di Simona Zecchi

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro








Pier Paolo Pasolini: fare chiarezza sulla morte per "riappropriarci" del Poeta
di Simona Zecchi

Intervento scritto su gentile richiesta per il convegno tenutosi il 15 gennaio 2016 a Palazzo Acreide (Siracusa)




Il linguaggio è il più cedevole dei terreni che costituiscono il complesso e a volte ingannevole spazio sul quale l'espressione pubblica spesso si muove e opera (saggi, scritti giornalistici - tra cui le cronache - e letterari che dir si voglia). Un concetto trasferito da Pier Paolo Pasolini nel febbraio del 1965, dieci anni prima della sua morte, su L'Espresso in un articolo rimasto senza titolo e incluso poi nella raccolta Empirismo Eretico (Garzanti), pubblicato interamente insieme ad altri saggi sulla lingua, il cinema e la letteratura nel 1972. Il saggio critico sul rapporto fra dialetto, lingua comune e lingua ufficiale, che più di ogni altro forse dei saggi del Poeta si innesta nel discorso politico. Userò questo termine - Poeta - così come lo intendo nel libro Pasolini massacro di un Poeta (Ponte alle Grazie 2015) ovvero un termine che racchiude l'ampia gamma di attività intellettuali conseguite da Pasolini lungo tutto l'arco della sua vita. In questo articolo, in cui l'autore metteva in guardia i lettori e gli addetti ai lavori dalla speculazione che un «linguaggio tecnocratico» poteva operare con la sua diffusione in tutti i campi (e non dunque uno scritto contro la tecnologia, ma contro il livellamento di un italiano fortemente egemonico nato dalla commistione fra economia potere e appunto linguaggio), Pasolini riporta un esempio che va a riferirsi alla strumentalizzazione politica del linguaggio attraverso l'uso che la stampa fece della dinamica di un'aggressione da lui subita inizialmente, ma dalla quale si difese subito, presso il cinema Quattro Fontane di Roma nel 1962, in occasione della prima di «Mamma Roma». Un saggio che potrebbe essere molto utile nei corsi di formazione odierna cosiddetta continua per questa professione... Nell'articolo, Pasolini rimarca:«Non so per quali calcoli, i giornali che hanno riportato l'episodio, l'hanno rovesciato (corredandolo di foto false) [...]»[1]. Nell'inganno cadde pure Laura Betti che sebbene fosse lì con lui quella sera riporterà la dinamica così come indicata nelle cronache: falsata. Naturalmente a fin di bene, ma il punto è proprio questo: la memoria può essere "eretica" e non in senso pasoliniano, così come l'empirismo, se non si fa attenzione a come si utilizzano le parole e la memoria rischiando, in buona fede o meno, di ingannare così l'opinione pubblica.

Questo elemento di cronaca e di critica, i cui risvolti nell'inchiesta da me condotta presente nel libro poc'anzi citato, sono fondamentali per comprendere quella notte del massacro fra il 1 e il 2 novembre del 1975, sono allo stesso modo fondanti per comprendere meglio un pezzo di storia italiana recente, le cui conseguenze si possono toccare con mano anche oggi.

E sul linguaggio, sulle sue mistificazioni, sulla forma e dunque sull'involucro che lo conteneva Pasolini ha continuato a lavorare testardamente sino alla fine dei suoi giorni, aggiungendo a quelle forme a lui più consone quali la poesia, il romanzo, il saggio critico, lo scritto teatrale, quella del giornalismo. Lo spiega chiaramente annunciando la forma-summa di tutte le sue opere cui dal 1972 comincia a lavorare, Petrolio (1992, Einaudi; 2005 Mondadori):

Se io dessi corpo a ciò che qui è solo potenziale, e cioè inventassi la scrittura necessaria a fare di questa storia un oggetto, una macchina narrativa che funziona da sola nell’immaginazione del lettore, dovrei per forza accettare quella convenzionalità che è in fondo giuoco. Non ho voglia più di giocare.[2]

In altre parti del testo poi giunte fino a noi, a eccezioni di quelle ormai note come sottratte, scomparse o addirittura mai scritte, Pasolini chiarisce al lettore a mo' di un Virgilio nei "gironi" della sua opera che di scritti giornalistici il libro[3] sarebbe anche stato costituito. Ma tutto questo perché? Perché Pasolini non aveva più voglia di "giocare"? E certamente con questo proprio lui non intendeva sminuire di fronte al lavoro d'indagine giornalistica quello letterario. Perché raccontare agli italiani:

tutti i problemi di questi venti anni della nostra vita italiana politica, amministrativa, della crisi della nostra repubblica: con il petrolio sullo sfondo come grande protagonista della divisione internazionale del lavoro, del mondo del capitale che è quello che determina poi questa crisi, le nostre sofferenze, le nostre immaturità, le nostre debolezze, e insieme le condizioni di sudditanza della nostra borghesia, del nostro presuntuoso neocapitalismo[4]

avrebbe voluto dire essere pratici, come già scrisse in una poesia raccolta poi in Poesia in forma di Rosa (Garzanti 1964, La realtà) e più chiaramente, come "vinto" da quella spasmodica ricerca di una forma unica, nel suo Comunicato all’ANSA [scelta stilistica]:

Smetto di essere poeta originale, che costa mancanza di libertà: un sistema stilistico è troppo esclusivo. [...] Naturalmente per ragioni pratiche[5]

Essere pratici per denunciare; per dar modo all'opinione pubblica di essere edotta da ciò che nonostante tutta la controinchiesta aggressiva presente al tempo ancora non era stato pubblicato; per convogliare tutto lo sforzo teso in oltre (sino ad allora) trent'anni di impegno letterario e civile nella summa di un lavoro che non doveva avere eguali:

Nulla è quanto ho fatto da quando sono nato, in confronto all’opera gigantesca che sto portando avanti: un grosso Romanzo di 2000 pagine [...].[6]

Ecco perché ho cercato, modestamente, in tutto questo tempo speso a indagare, scrivere, collegare, scartare anche, quando necessario, confrontare i fatti verificandoli là dove è stato possibile e studiare una storia così assurda e complessa insieme (e proprio perché complessa, perfetta, così reale) di seguire il cammino da lui tracciato. Quello di lealtà ai lettori, di verità e di denuncia cercando di operare una scelta delle parole con quanta più cura possibile; e insieme alle parole la forma, lasciando al lettore al contempo la facoltà di:

«[...] ricongiungere passi lontani che però si integrano. [...] organizzare i momenti contradditori ricercandone la sostanziale unitarietà».[7]

Perché scoprire com'è andata, com'è morto davvero Pier Paolo Pasolini (e solo dopo il perché, il movente insomma) vuole dire riappropriarci del Poeta.


 


Note:

[1] Pag. 26, edizione 2000.

[2] Dalla Lettera a Moravia in Petrolio.

[3] Nelle intenzioni dovevano essere 2000 pagine che con la sua morte si fermeranno a 522 - mancano all'appello almeno 78 pagine - poiché il numero da lui annunciato, durante un'intervista del 10 gennaio 1975 come il lavoro sin lì compiuto, si attesta a 600.

[4] Pasolini a Paolo Volponi.

[5] da Trasumanar e Organizzar (Garzanti 1971-76)

[6] Intervista a Il Mondo, 26/12/1974

[7] Nota introduttiva agli Scritti Corsari (Garzanti maggio 1975)




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Curatore, Bruno Esposito

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