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martedì 6 dicembre 2016

Il Decameron di Pier Paolo Pasolini, di Claudio Oddi.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Il Decameron di Pier Paolo Pasolini,  
di Claudio Oddi.

Le novelle scelte da Pasolini per Il Decameron (1971) sono nove. Il regista, autore del soggetto e della sceneggiatura, ne riduce la composita geografia (Borgogna, Napoli, Toscana, Romagna, Barletta, Messina, Siena) al solo contesto campano. L'episodio di Ciappelletto ha valore eccezionale, avendo nella parte principale, come nel testo originario, un'ambientazione non campana. L'omogeneo corpo linguistico boccacesco, il volgare letterario del trecento, tuttavia socialmente articolato nel registro, diventa espressione vernacolare dominante: i personaggi rilevanti che non parlano il dialetto sono soltanto la giovane siciliana, la badessa, il confessore di Ciappelletto e l'uomo che accompagna Giotto ("l'avvocato"), esponenti di ceti sociali non proletari. 

Le giornate dalle quali l'autore trae materiale narrativo da rielaborare sono I, II, III, IV, V, VI, XIX (una novella) e VII (due novelle; il tema è la beffa). Sono interamente trascurate l'ottava (a tema libero) e la decima (fatti magnanimi, d'amore e non). 
Relativamente all'ordine, alla frequenza, al modo e alla voce narrante delle novelle scelte, Pasolini non adotta soluzioni che si discostano dal testo letterario. La durata degli episodi filmici è invece caratterizzata dall'avvicinamento diegesi/narrazione, dovuto all'omissione delle parti prologiche delle novelle, le quali sempre comprendono un ampio periodo diegetico. Andreuccio L'ordine, ossia il rapporto tra la successione diegetica degli avvenimenti e la loro disposizione narrativa, non presenta anacronie: sono assenti analessi (flash-back) e prolessi (flash-forward). Il racconto della giovane siciliana è riferito ad un passato che mai è realmente stato, e quindi non è propriamente prolettico. La soluzione della linearità cronologica concerne l'intera opera. La narrazione ha una durata di 19' 47'', relativi ad un tempo diegetico di alcune ore: dalla mattina alla notte seguente. Sono presenti otto ellissi, tutte indeterminate, riguardanti elisioni di minuti o secondi. La terza costituisce eccezione, comportando un salto di ore; non è connessa con una variazione locale: lo spazio rappresentato è sempre la casa della siciliana. Ogni cambiamento spaziale implica, invece, un procedimento ellittico.
Le scene, coincidenza di diegesi e racconto, sono tre: la siciliana narra ad Andreuccio la sua falsa biografia; Andreuccio incontra i due ladri; il sagrestano dirige il fallito furto sacrilego. La frequenza, cioè le relazioni di ripetizione tra diegesi e racconto, è come negli episodi che seguono singolativa (quanto è accaduto una volta, è narrato una volta).
 
Il racconto non è focalizzato: all'istanza narrante e al narratario (lo spettatore) è attribuito un livello cognitivo superiore rispetto a quello del protagonista. Andreuccio non conosce l'inganno ordito, mostratoci anticipatamente; crede vere le vicissitudini della giovane. Come negli altri episodi, la voce narrante è extradiegetica-eterodiegetica,
corrispondendo ad una istanza anonima non identificabile con un personaggio. 
Vi è, tuttavia, una narrazione interna (di secondo grado): la siciliana che riferisce il proprio passato ad Andreuccio (racconto intradiegetico di forma omodiegetica, riferendosi ad eventi, fittizi, ai quali chi narra avrebbe partecipato). 
In Decameron II, 5 la vicenda è preceduta da un antefatto, la decisione della partenza e l'arrivo di Andreuccio, omesso da Pasolini. La durata diegetica è equiparabile a quella dell'episodio filmico. Le determinazioni temporali non sono infrequenti: "la mattina" il protagonista è al mercato, "in sul vespro" la donna lo fa invitare per parlargli, "essendo già mezzanotte" il giovane mercante e i due ladri entrano nella chiesa. Le pause descrittive sono assenti; è presente una scena: il racconto della giovane. 

Nell'incontro tra il protagonista e i ladri e nel secondo tentativo di furto vi sono modeste ellissi ("E detto questo, consigliatisi alquanto, gli dissero..."; "...dopo una lunga tencione, un prete disse..."). La narrazione non è focalizzata. La voce, di terzo grado (narra Fiammetta), è come in ogni novella intradiegetica/eterodiegetica. Il racconto della siciliana è di quarto grado. Masetto La narrazione ha una durata di 11' 30'', la diegesi riguarda alcuni giorni. 

Le ellissi particolarmente rilevanti, quelle relative ad un tempo superiore all'ora, sono soltanto tre e coincidono sempre con una variazione del luogo e dell'azione. Alla prima, come le altre indeterminata, segue la seconda scena dell'episodio, il dialogo tra le due suore che precede l'amplesso con il giovane ortolano. 
Le inquadrature iniziali del convento, descrittive, hanno una funzione prologica narrativamente marginale. Segue ad esse la scena della zappatura, durante la quale il vecchio ortolano racconta la sua esperienza nel monastero. Il racconto non è focalizzato: tutti i personaggi ignorano che il giovane finge di essere sordomuto (l'istanza narrante mostra al narratario che non lo è); le due suore trasgreditrici (seducono il giovane) non sanno di essere osservate da una consorella. Il racconto del vecchio ortolano è una narrazione intradiegetica- omodiegetica di secondo grado, modesta infrazione alla linearità cronologica. La novella letteraria ha una diegesi di molti anni: il racconto di Filostrato termina con la vecchiaia del protagonista ("... essendo già Masetto presso che vecchio..."); l'explicit segue, quindi, un'ellissi molto ampia (non vi corrisponde un mutamento spaziale), mentre le precedenti non superano la durata di alcuni giorni. Dall'inizio alla fine, lo scarto diegesi-racconto cresce notevolmente e in maniera non graduale (allontanamento assai rilevante dal modello ideale dell'isocronia). 

L'unica scena è costituita dal dialogo tra le due suore desiderose di conoscere i piaceri sessuali. Non è assente una forma assimilabile al sommario ("...prendendo a convenevoli ore tempo, col mutolo s'andavano a trastullare"), che qui indica l'iterazione di un atto (racconto iterativo). 
La soluzione del terzo grado, 
intradiegetica/omodiegetica, è presente: Nuto, il vecchio ortolano, narra la sua esperienza come salariato nel monastero. Peronella La differenza temporale tra diegesi e narrazione è minima: la durata di entrambe è di pochi minuti (il racconto dura 5' 13''). Le ellissi riguardano omissioni presumibilmente inferiori al minuto. Le unità di azione, la consumazione dell'adulterio in assenza e in presenza del marito, e di spazio, l'interno e l'esterno della casa di Peronella (l'adultera), rendono ulteriormente omogeneo l'episodio. Il livello cognitivo dell'istanza narrante e del narratario è superiore rispetto a quello dei personaggi: il marito non sa di essere tradito né lo scopre entrando in casa; lo spettatore sa del suo arrivo anticipatamente. La diegesi della novella, indeterminata, ha un'estensione superiore, inizialmente riferita ad un tempo che antecede la vicenda raccontata ("Avvenne che un giovane de' leggiadri, veggendo un giorno questa Peronella...si innamorò di lei..."), dalla sceneggiatura omesso. 

La narrazione della beffa subita dal marito, quasi coincide con la diegesi: le ellissi, assai modeste, sono limitate alla parte conclusiva. Ciappelletto Il soggiorno del protagonista nella residenza dei fratelli usurai, è la vicenda principale dell'episodio, diviso in parti. 

La durata diegetica di essa è 10' 32'', quella narrativa alcuni giorni (presumibilmente due). Alla scena iniziale, il colloquio tra Ciappelletto e i fratelli, seguono dapprima una seconda scena (preceduta da una ellissi indeterminata), poi la sequenza della convocazione del confessore, caratterizzata da una rilevante serie di modeste ellissi; infine vi è una terza scena, la parodica confessione. Una nuova elisione, maggiore, conduce alla rappresentazione della predica che esorta alla venerazione di San Ciappelletto. Il racconto non è focalizzato: il confessore e i fedeli che ne ascoltano le parole esortative non conoscono il carattere mendace della confessione. 
In Decameron I, 1, che ha una costruzione del racconto maggiormente articolata, vi è un'evidente antinomia temporale tra l'estesissima scena della confessione (è predominante il discorso diretto) e le restanti unità narrative, fortemente ellittiche ("...riparandosi in casa di due fratelli fiorentini...avvenne che egli infermò"; "Ser Ciappelletto poco appresso si comunicò..."). 

Il colloquio tra i due usurai, ascoltato dall'infermo, come nel film costituisce una scena. Giotto La narrazione (2' 12'') e la diegesi (alcuni minuti) quasi coincidono, in un esile episodio incentrato sul "soliloquio" dell'avvocato che accompagna il pittore. Le ellissi non hanno particolare rilievo temporale o qualitativo. La focalizzazione è zero: Gennarino, l'uomo che offre ricovero ai viandanti durante il temporale, non conosce la reale identità di Giotto, causa dell'ilarità dell'avvocato, il quale pone in contrasto la grandezza artistica del personaggio con la sua vile apparenza. La parte propriamente narrativa della novella, la quinta della sesta giornata, consta di appena tre capoversi. L'incontro con il "lavoratore" che dà rifugio ai due protagonisti è preceduto da quello degli stessi. Il presunto dialogo dei personaggi è eliso ("...fuggirono in casa di un lavoratore amico...

Ma dopo alquanto...presi dal lavoratore in prestanza due mantellacci...e due cappelli...cominciarono a camminare."). Mediante una serie avverbiale, l'autore elide il tempo che precede il dialogo tra Giotto e Forese: "...essendo al quanto andati...rischiarandosi alquanto il tempo, essi, che lungamente erano venuti taciti...". L'istanza narrante, Panfilo, conosce quanto i personaggi ed i narratari. La focalizzazione zero è superata. Riccardo e Caterina Alla durata della narrazione, 8' 19'', corrisponde una durata diegetica inferiore alla giornata. Alle ellissi iniziali, definibili implicite, seguono due scene dialogiche separate da un'elisione modesta. 

La successiva è la più consistente: il tempo omesso è di alcune ore (dal dialogo tra Caterina e la madre, all'arrampicata di Riccardo che raggiunge la fidanzata nel suo balcone). Una nuova serie ellittica anticipa la scena dialogica conclusiva (il padre di lei che impone il matrimonio).. La presenza di una pausa descrittiva è rilevante per il suo valore eccezionale: la cinecamera fissa inquadra per alcuni secondi un paesaggio urbano aurorale, non necessario allo sviluppo narrativo. La focalizzazione rimane interna (i genitori di Caterina non conoscono il vero motivo che la spinge a dormire nel balcone). Le variazioni spaziali, come nei due episodi precedenti, sono poco rilevanti. Gli ambienti (contigui) nei quali è svolta l'azione sono tre: un giardino, una camera nuziale, un balcone. La costruzione della novella è omologa: dopo l'apertura prologica nella quale sono fornite informazioni sul passato dei personaggi, si hanno due scene, divise da un'ellissi di molte ore ("Il dì seguente..."). La narrazione della notte d'amore è estesa, culminante nel dialogo tra Riccardo e il prossimo suocero. Lisabetta La diegesi, che dura tre giorni circa, è raccontata in 13' 52''. Alla sequenza iniziale, debolmente ellittica, è connessa un'elissi che omette il tempo notturno ed è seguita da una scena (i fratelli di Lisabetta che invitano l'amante di lei a seguirli). La sequenza che antecede l'omicidio del giovane è resa attraverso l'alternanza di concisi dialoghi ed ellissi di minuti, seguite da due salti temporali rilevanti (diventa notte; ridiventa giorno). 

Dopo una breve scena dialogica, c'è una nuova coppia ellittica (notte/giorno), seguita da una più ampia scena (il ritrovamento del corpo). Il racconto non è focalizzato ed i livelli cognitivi sono fortemente differenziati. Lisabetta e Lorenzo non sanno di essere stati scoperti dal fratello; Lisabetta, che pure sospetta, non conosce la tragica fine dell'amante, se non dopo, oniricamente; i fratelli non sanno che lei ha saputo il luogo nel quale è stato sotterrato il cadavere. L'immagine onirica del giovane diventa un narratore interno con prevalente funzione di informazione, e per la giovane e per lo spettatore, al quale l'omicidio non è mostrato. La quinta novella della giornata IV ha una diegesi ampia, di giorni o forse mesi, sviluppata in una narrazione non estesa. Le ellissi sono frequenti e mai determinate. Il discorso diretto e quello indiretto sono utilizzati raramente, a conferma del notevole divario temporale storia/racconto. 

Don Gianni L'episodio dura 10' 37'' e comprende un tempo diegetico inferiore alla giornata. Le ellissi, che progressivamente si ampliano, sono alternate alle scene dialogiche (il dialogo tra compare Pietro e don Gianni; l'incontro con la giovane moglie del vecchio Pietro; la richiesta dell'incantesimo da parte dei coniugi; il falso incantesimo che dovrebbe trasformare la moglie in cavalla). La focalizzazione è esterna: l'istanza narrante e i coniugi non conoscono le autentiche intenzioni di don Gianni, che mira a soddisfare il suo istinto sessuale attraverso l'inganno dell'incantesimo. (Allo spettatore queste si rivelano nella scena conclusiva). 

La novella corrispondente è l'ultima della nona giornata. La parte prologica, che è riferita al ripetersi delle situazioni ("...quante volte in Barletta arrivava, sempre alla chiesa sua nel menava..."; "...quante volte donno Gianni in Tresanti capitava, tante sel menava a casa..."), determina la notevole ampiezza del tempo diegetico, nella vicenda principale limitato ad alcune ore. Il fallace incantesimo è risolto in una scena. Tingoccio e Meuccio L'episodio è bipartito dalle immagini della visione notturna di Giotto e dura 8' 35''; la diegesi non è determinabile, dato che l'elissi che separa le due parti potrebbe comprendere ore come giorni. 

La vicenda consta di cinque scene (la promessa dei due amici; il dialogo tra Tingoccio e la comare; la conversazione tra questi e Meuccio; il funerale di Tingoccio; l'apparizione del fantasma di lui) e di una parte conclusiva con frequenti elisioni. La focalizzazione è interna e il punto di vista assunto è quello di Tingoccio. La descrizione dell'oltremondo assume una valenza di narrazione intradiegetica., con Meuccio come narratario interno. La novella che chiude la settima giornata ha un'estensione diegetica non determinabile. Il racconto non presenta scene: la lunga conversazione finaletra i due protagonisti contiene una breve ellissi, inserita nella forma del discorso indiretto.

Di Claudio Oddi
 RHY.MA. – Rhymers’ Magazine – N. 2 ottobre 2005
Speciale Pier Paolo Pasolini 1975 - 2005

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martedì 11 ottobre 2016

PASOLINI SUL VULCANO

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




PASOLINI SUL VULCANO
Il Dramma
Anno 44 - N. 2
novembre 1968


Pier Paolo Pasolini ha « scoperto » l’Etna con « Teorema » e ne è rimasto affascinato. Ora è tornato sul vulcano per girarvi, al riparo dagli indiscreti, un nuovo film che ha per titolo« Porcile ». Lo scrittore regista con il suo aiutante di campo Franco Cittì, il produttore Barcelloni, l’attore francese Pierre Clementi ha girato le prime scene nella valle del Bove, un grande pianoro del vulcano dove si arrestano e si raffreddano tutte le colate laviche’ In « Porcile » l’autore circoscrive il discorso al rapporto-conflitto tra l’uomo e la società, il «sistema». Nel primo episodio c’è un selvaggio (Pierre Clementi) che fugge dai suoi simili, si nasconde nella grande montagna, diventa antropofago per fame e per istinto belluino.
Fonda addirittura una tribù di cannibali, fino a quando non si imbatte in un popolo civilizzato, nel « sistema», e viene condannato ad una orribile morte: in pasto alle jene. La conclusione che ne trae Pasolini è che l’uomo ha il diritto di esprimere i suoi istinti, perché è nato selvaggio e violento. E la società, dunque, ha torto nel condannarlo. Se è’ diventato cannibale è perché la vita lo ha costretto e perché la natura lo ha sospinto. Si potrebbe naturalmente discutere a lungo su questa particolarissima visione della vicenda umana, ma è questa la filosofia pasoliniana, e controbatterla non servirebbe a cambiarla. Semmai, in termini di maggiore concretezza, possiamo prevedere che sarà difficile per Pasolini girare questo episodio sull’Etna a novembre. Quando venne per le prime scene era estate, la grande montagna era orrenda, ma senza pericoli. A novembre, ci sarà il vento terribile del vulcano, e la debole fibra di Pierre Clementi - già ammalatosi per le non pesanti fatiche dei primi giorni -, e il villaggio di « compensato » che Pasolini vuol far costruire nella valle del Bove, forse non potranno resistere.
L’altro episodio, il cui protagonista sarà Jean-Pierre Leod, si intreccia col primo, ne è una continuazione « attualizzata ». E’ la vicenda di un giovane erede di una ricchissima famiglia tedesca, che vive in un ambiente molle e confortevole. E’ destinato a diventare un grande capitano d’industria, ma il giovanotto si ribella, non accetta le condizioni della società.
Si ritira in campagna, in mezzo agli animali, e nell’estremo rifiuto al « sistema » finisce per amare i porci: così finisce questo « figliuol prodigo » 1969. 
Tony Zermo


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giovedì 6 ottobre 2016

Pasolini 5 ottobre 1975 - Lettera a Gianni Scalia.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pasolini 5 ottobre 1975
Lettera a Gianni Scalia.



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Fonte:
http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitoloRB/6008123AEF2F26D4C1257B1000557E14?opendocument



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Salò e le centoventi giornate di Pasolini - La censura

"ERETICO & CORSARO"



Salò di Pasolini
La censura


A un giornalista che, durante l’ultima conferenza-stampa rilasciata a Cinecittà prima della fine delle riprese (il 9 maggio 1975), gli chiedeva se prevedesse difficoltà di censura, Pasolini aveva risposto, sorridendo: 
“Suppongo che ci saranno, speriamo di vincerle. Oggettivamente ci saranno sicuramente delle lotte da fare”. 
Così fu.



31 ottobre 1975
Il produttore Grimaldi presenta Salò alla Commissione di censura il 31 ottobre 1975, con una lunghezza dichiarata di 3297 metri e accertata dalla Commissione di 3192 (i 105 metri di differenza corrispondevano semplicemente ai titoli di testa e alla pellicola di coda del film). Pasolini viene assassinato il giorno dopo, nella notte fra il 1° e il 2 novembre, ma dopo dieci giorni dal delitto la censura non si era ancora pronunciata,



11 novembre 1975
La prima sezione della Commissione di revisione esamina il film, dopo avere ricevuto una comunicazione del produttore che “dichiara di essere disposto ad eseguire anche dei tagli se la Commissione lo ritiene opportuno”. La deliberazione è la seguente: “il film nella sua tragicità porta sullo schermo immagini così aberranti e ripugnanti di perversioni sessuali che offendono sicuramente il buon costume e come tali sopraffanno la tematica ispiratrice del film sull’anarchia di ogni potere. Si esprime pertanto parere contrario alla proiezione in pubblico del film stesso”.
Si solleva un’ondata di indignazione e protesta cui parteciparono numerose personalità della cultura italiana. La PEA fa ricorso il 29 novembre.



22 novembre 1975
Il film viene presentato per la prima volta in pubblico al Festival di Parigi in una sala sugli Champs-Élysées, dove venne organizzata una conferenza stampa contro la censura cui intervengono, fra gli altri, Bernardo Bertolucci, Laura Betti, Liliana Cavani, Luigi Comencini, Gillo Pontecorvo, Francesco Rosi e Sonia Savange. Il 9 dicembre il Salone Pier Lombardo e il Club Turati organizzarono a Milano una serata a inviti con un dibattito sulla censura che vide la partecipazione, fra gli altri, di Piero Ottone e Giovanni Testori e si concluse con la proiezione del film.



18 dicembre 1975
Si riunisce la Commissione di appello di revisione cinematografica. Dopo due ore di discussioni, il film viene assolto, con queste motivazioni:
La maggioranza ritiene [...] di non poter condividere il parere della Commissione di primo grado, che il film costituisca offesa al buon costume. Lo spettacolo suscita sempre e soltanto disgusto. Il sesso – chiamato a simboleggiare il possesso dispotico, devastatore e distruttore della creatura umana, quale viene attuato dal potere politico assoluto, che il regista accusa di giungere all’annientamento della personalità morale e fisica dell’individuo, degradandolo ad oggetto – non assume mai nel film il carattere di una intenzionale ed eccitante allusione alla lussuria. La Commissione di appello, pertanto, a maggioranza, in riforma del diverso avviso della Commissione di primo grado, esprime parere favorevole al rilascio del nullaosta di proiezione in pubblico del film, con il divieto di visione per i minori degli anni 18.
Salò può quindi essere proiettato in Italia senza subire nessun taglio. L’autorizzazione del ministero reca la data del 23 dicembre 1975 con il nullaosta n. 67445.



10 gennaio 1976
Prime proiezioni italiane, esclusivamente a Milano, in tre sale, il Majestic, il Nuovo Arti e il Ritz. Nei primi due giorni il film attirò 15.675 spettatori, nostante l’irruzione di alcuni anonimi che, confusi fra gli spettatori, lanciarono fialette di liquido puzzolente in sala. L'indomani il film viene denunciato dall’Associazione Nazionale degli Alpini che si ritiene oltraggiata da una sequenza in cui il Duca, imitato dagli altri carnefici, intonava il canto alpino della brigata “Julia” Sul ponte di Perati.



13 gennaio 1976
Il film venne sequestrato per ordine del sostituto procuratore della Repubblica Roccantonio D’Amelio che accoglie le denunce di associazioni e privati cittadini. Apre un procedimento penale contro il produttore Grimaldi per commercio di pubblicazioni oscene. Dopo la Commissione di censura, è quindi la magistratura a intervenire e stavolta il film rimarrà sotto sequestro per oltre un anno.



30 gennaio 1976
Si tiene la terza udienza del processo contro il produttore, condannato a due mesi di reclusione, a duecentomila lire di multa e al pagamento delle spese processuali per “avere realizzato e messo in circolazione a scopo di lucro” uno spettacolo “costituito tutto da scene e da linguaggio a carattere osceno”.



19 febbraio 1976
La Procura generale di Roma apre un procedimento penale contro il produttore per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico, in quanto si ritiene che alcuni degli interpreti del film fossero di età inferiore ai diciotto anni al tempo delle riprese. Ma la PEA dimostra che gli attori erano tutti maggiorenni e il procedimento venne quindi archiviato il 23 settembre 1976.



17 febbraio 1977
La Corte d’Appello di Milano accoglie il ricorso di Grimaldi e ordina il dissequestro del film. La sentenza del pubblico ministero conclude “per l’assoluzione dell’imputato con la formula ampia riconoscendo al film il valore di opera d’arte, sempre che venissero enucleate le scene da ciascuno indicate, la cui ripetizione appariva superflua per il messaggio trasmesso agli spettatori del regista Pasolini. Proponevano perciò, l’uno in via principale e l’altro in via subordinata il taglio di quelle sequenze”. In altre parole, Salò poteva essere considerato un’opera d’arte dopo il taglio di sei sequenze (a tanto corrispondevano esattamente “le scene da ciascuno indicate”) ma nella sua integralità, quindi con le sei sequenze, non poteva essere considerato opera d’arte, bensì spettacolo osceno. Infatti la corte ha ravvisato nelle sequenze incriminate
la rappresentazione di fatti osceni che non essendo necessari per la tematica trattata non potevano ritenersi riscattati dai pregi artistici del film, ma ne alteravano l’armonia. Ne ha proposto, perciò, l’eliminazione col taglio delle sequenze nella pellicola, prima che essa venga restituita all’avente diritto e nonostante ha concluso per l’assoluzione di quest’ultimo, ritenendo per quelle scene esclusa la sua punibilità per errore sul fatto, errore giustificato e scusabile volta che il film aveva ottenuto l’approvazione della Commissione di censura.



5 marzo 1977
La Corte d’Appello di Milano ordina la restituzione della pellicola alla PEA “previa eliminazione e confisca” delle seguenti sequenze:
  1. Nella seconda parte del film la scena riguardante la sodomizzazione del presidente Durcet e quella della masturbazione del ragazzo inesperto e del fantoccio;
  2. nella terza parte del film dopo il matrimonio dei due ragazzi la scena della sodomizzazione del personaggio di Blangis;
  3. nella quarta parte del film la scena della masturbazione del Presidente davanti lo specchio e nella quinta quella della sodomizzazione del Vescovo



10 marzo 1977
Sia pure così tagliato, a distanza di quattordici mesi dalla prima distribuzione italiana, il 10 marzo del 1977 Salò esce finalmente nelle sale italiane, rigorosamente vietato ai minori di anni diciotto. In quei quattordici mesi si era creata una forte (e anche morbosa) curiosità intorno al film, tanto che al termine dello sfruttamento nelle sale vennero staccati circa due milioni di biglietti. Non mancarono episodi di teppismo neofascista: a Roma, il giorno stesso della prima proiezione, in un cinema sulla via Salaria una trentina di giovani entrano in sala facendo esplodere bombolette di gas maleodo­rante, altri lanciarono vernice nera contro le vetrine d’ingresso infrangendo i cristalli a sassate. Quattro giovani vennero fermati dai carabinieri e si dichiararono militanti di estrema destra. Fra loro venne identificato Valerio Fioravanti, che in seguito sarebbe stato condannato come uno degli esecutori materiali della strage alla stazione di Bologna. Nella stessa serata tre telefonate anonime seminarono allarme in altrettanti cinema annun­ciando la presenza di ordigni esplosivi in sala



7 giugno 1977
Nella cittadina di Grottaglie, a venti chilometri da Taranto, uno spettatore del film – poi dichiaratosi orgogliosamente militante locale del MSI nonché sodale del principe Junio Valerio Borghese, comandante e fondatore della Xa MAS – presenta un esposto contro il film. Il pretore di Grottaglie Evangelista Boccuni si reca di persona a vedere il film e, noncurante della sentenza assolutoria della Corte d’Appello di Milano, dispone il sequestro di Salò in tutto il territorio nazionale, con queste motivazioni:
Mi sono convinto della particolare oscenità del film e della mancanza in esso di qualsiasi pregio artistico. In particolare alcune scene, tra cui quelle dell’ingestione di escrementi umani e di sodomizzazione, sono improntate alla più ripugnante lascivia e costituiscono la esaltazione esasperata di forme aberranti di deviazione sessuale. Non so se l’artisticità dell’opera sia venuta meno in seguito ai tagli imposti dalla Corte d’Appello di Milano, ma ritengo che, sia pure attraverso la strumentalizzazione di un determinato periodo storico, il film attualmente sia osceno.
Contro il sequestro del film intervenne, fra gli altri, “L’Unità” che ricorda come la Corte costituzionale avesse deciso per la “libertà provvisoria dei film, nelle more del giudizio conclusivo” (Altro sequestro per il Salò di Pa­solini!, 7 giugno 1977), mentre il giornale ufficiale del Vaticano, l’“Osser­vatore romano”, plaude al sequestro (in un articolo anonimo dell’8 giugno 1977): “A conforto dell’amarezza e del disorientamento di quei cittadini che si sentono confusi (per non dire di più e di peggio) da sentenze che danno patenti d’arte a film nei quali la presenza dell’osceno e dell’abietto è patente e irrefutabile”. Il 9 giugno la PEA denuncia il pretore di Grottaglie per abuso d’ufficio e violazione delle norme procedurali e il 18 giugno il sostituto procuratore Nicola Cerrato dissequestra il film dichiarando illegittimo l’intervento di Boccuni, contro cui, il 13 ottobre del 1978, si apre un procedimento penale per il reato di abuso di atti d’ufficio. Il 18 giugno 1977, la Procura della Repubblica di Milano ordinò il dissequestro di Salò su tutto il territorio nazionale.



15 febbraio 1978
La Corte di Cassazione di Milano annullò la sentenza relativa alle sei sequenze tagliate che a quel punto possono essere reintegrate nel film.


All'estero

In Francia la Commissione preliminare di censura propose il divieto ai minori di anni diciotto ma la Commissione plenaria, il 13 maggio 1976, votò a maggioranza (quattordici voti contro nove) l’interdizione totale del film. Intervenne il ministro della cultura Michel Guy che il 19 maggio autorizzò la proiezione pubblica del film con il divieto ai minori di anni diciotto. Ma in effetti Salò, distribuito dal coproduttore Les Artistes Associés, uscì inizialmente in un’unica sala parigina, cui se ne aggiunsero in seguito altre quattro, dato il successo di pubblico. La programmazione a Parigi durò ininterrottamente per molti anni e, in modo più saltuario, viene ancora proiettato in una sala della capitale francese.
In Germania, dove era uscito alla fine di gennaio del 1976, il film fu sequestrato il 6 febbraio ma soltanto a Stoccarda, per ordine del procuratore locale, mentre nell’intero territorio della Repubblica Federale, così come in quello della Repubblica Democratica, Salò fu programmato regolarmente riscuotendo un notevole successo di pubblico e lo stesso avvenne in altri paesi, fra cui il Giappone dove fu distribuito tempestivamente nel 1976 (come in Svezia e in Danimarca), mentre rimane tuttora proibito in Russia e in Cina.
Nel Regno Unito, il British Board of Film Censors (BBFC) rifiutò di autorizzarne la diffusione il 25 gennaio 1976. Fu proiettato per la prima volta al cineclub Old Compton Street a Soho, un anno più tardi, nel 1977, in edizione integrale e senza certificazione del BBFC. Dopo due giorni intervenne la polizia che bloccò le proiezioni e sequestrò il film che successivamente venne tagliato in un’edizione supervisionata dal segretario del BBFC, James Ferman. Soltanto nel 2000 l’edizione integrale di Salò è stata finalmente autorizzata per le proiezioni in pubblico nel Regno Unito.
Negli Stati Uniti Salò non ha mai avuto una distribuzione regolare ma è stato mostrato soltanto in occasione di festival o rassegne. Nel 1994 il film fu al centro di un ‘caso’ giudiziario quando un poliziotto di Cincinnati arrestò i proprietari di una libreria gay che noleggiavano abusivamente la videocassetta. L’episodio suscitò la reazione di alcune personalità della cultura e dello spettacolo, fra cui Martin Scorsese, che firmarono una petizione a favore del film. La corte assolse i proprietari e incriminò il poliziotto ma non si pronunciò sull’oscenità o meno del film. Salò ha conosciuto un’adeguata diffusione soprattutto a New York e grazie all’accurata edizione Dvd realizzata da Criterion nel 2008.
L’Australian Classification Board vietò il film nel 1976 e tale rimase fino al 1993 quando l’edizione integrale fu autorizzata con un R-18 (vietato ai minori di anni diciotto). Ma nel febbraio 1998 fu nuovamente vietato e soltanto nel 2010 è stata autorizzata la proiezione, nonostante le forti proteste, fra gli altri, della Family Voice Australia e dell’Australian Christian Lobby. In Nuova Zelanda, il film è stato vietato nel 1976 e ancora nel 1993. Dopo la concessione, nel 1997, di un permesso speciale per una pro­iezione integrale in un festival, nel 2001 è stata autorizzata l’edizione Dvd in versione integrale, ovviamente con il divieto ai minori di diciotto anni.

CINETECA DI BOLOGNA
Via Riva di Reno, 72
40122 BOLOGNA

Fonte:
http://distribuzione.ilcinemaritrovato.it/per-conoscere-i-film/salo-o-le-centoventi-giornate-di-sodoma/la-censura/



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

mercoledì 7 settembre 2016

Lettera AL DIRETTORE - Pasolini e la televisione

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Lettera AL DIRETTORE
Pasolini e la televisione
STAMPA SERA
Anno 99 • Numero 292


Lunedi 11 - Martedì 12 Dicembre 1967

L'intervista di cui parla Pasolini nella sua lettera, la trovi 
QUI


Signor Direttore,

spero che lei accetti di pubblicare questa mia lettera aperta, a proposito di una intervista che ho rilasciato alla signora Madeo, e pubblicata su « Stampa Sera » del 5 dicembre, Col titolo, pressapoco, La Tv è peggio del Vietnam.

Non è una lettera di ritrattazione, ma di precisazione.
E il caso, inoltre, mi pare di per sé abbastanza interessante: infatti io, proprio nei giorni in cui ho rilasciato questa intervista, mi accingevo a fare un lavoro per la Tv, e precisamente un breve documentario per «Tv 7», sotto forma di sopralluogo per un film da girarsi in India. Ero dunque pronto a prendere l'aereo per Bombay con la mia piccola troupe e con in cuore un grande programma. In seguito alla pubblicazione della mia intervista su « Stampa Sera », sapendo la giusta costernazione che essa aveva portato tra i miei datori di lavoro, ho creduto opportuno scrivere una lettera di rinuncia, per lo stesso lealismo, per cui, se avessi occupato un posto di responsabilità, avrei considerato mio dovere dare le dimissioni.

Il film che avrei dovuto fare per la Tv — in una combinazione, di recente formula, per cui il film sarebbe stato in parte consumato da spettatori normali del cinema e in parte dai telespettatori — era un film sul problema della .fame. La storia di una famiglia indiana i cui membri a uno a uno muoiono di fame. Il momento storico di tale vicenda — per rispetto all'India attuale, che soffre questo problema e lotta con tanta' dignità per risolverlo — sarebbe stato quello degli anni immediatamente antecedenti e immediatamente successivi alla liberazione dell'India. Cioè, il film si sarebbe svolto, in parte, prima della partenza degli inglesi, in parte dopo. Una prima parte preistorica, una seconda storica.

Nella parte preistorica, o introduttiva, si sarebbe vista in realtà un'India ideale: l'India della religione e basta. Il capo della famiglia — che sarebbe divenuta protagonista della mia storia — avrebbe dovuto essere un « maraja » e si sarebbe dato in pasto a dei. tigrotti morenti di fame in una landa coperta dalla neve, per pietà e per sublime disprezzo per la propria carne. Nell'India storica, successiva a questo episodio introduttivo, la famiglia del « maraja », impoverita durante una carestia, appunto, < storica », avrebbe vissuto la tragica vicenda che ho detto, scandita dalla morte per stenti e fame di tutti i suoi componenti.

Perché le ho raccontato la trama di questo mio film? Perchè risultasse chiaro questo: che si trattava del progetto di un film assolutamente non commerciale, assolutamente puro e privo di ogni compromesso. Tale rigore, stabilito in partenza, e condizione del film, mi sarebbe stato reso possibile solo se la « produzione » fosse stata della Tv: l'unica organizzazione in grado di trovare un pubblico per tale film (io non credo che si possa fare un film senza pensare a un pubblico, qualitativamente e numericamente da film) e magari di imporlo.

Ho perduto una grande occasione. Spero di girare ugualmente questa mia storia. Ma mi sarà difficile, perché purtroppo, per mia natura, non sono capace di disprezzare il produttore — in nome della mia poesia! — ed è difficile appunto che io trovi un produttore in grado di sostituire la tv per dare corpo a questo mio progetto.

Vede, dunque, caro Direttore, che cosa è significato per me rilasciare una intervista al suo giornale' e che responsabilità si sono presi il titolista e l'autrice del pezzo. La mia storia di autore e di uomo può risultarne modificata. Certo il dolore che ne ho avuto è di quelli grandi, ma non le scrivo qui per sfogarmi.

Ho detto che non voglio ritrattare, ma solo fare delle precisazioni.

E' vero, poiché io ho sempre avuto molta stima per << La Stampa » (che si è' comportata sempre nei miei riguardi nel modo più corretto, obbedendo, direi con grazia e naturalezza, alle regole del fair-play, anche quando il disaccordo tra le mie idee e quelle da essa rappresentate fosse sostanziale) ho parlato con assoluta sincerità con la signora Madeo. Come si parla con un amico. Quindi senza misurare le parole, senza diplomazia, con totale confidenza. Credo, dunque, di aver detto tutte le frasi, le parole e le espressioni riportate dalla Madeo, ma — ed ecco quello che voglio precisare — in un altro contesto. Un contesto dove lo slogan « La televisione è peggio del Vietnam » è una figura retorica, che sta tra la « boutade » e la « sineddoche »: io parlavo cioè della televisione di Partitissima (ossia, magari dell'80 per cento della televisione).

Ora Partitissima e le mille altre trasmissioni dallo spìrito affine sono effettivamente peggio della guerra del Vietnam, perché distruggono lo spirito di una nazione e non soltanto alcune migliaia o centinaia di migliaia di corpi. Credo che tutti gli uomini di cultura siano d'accordo su questo: se vuole, provi a fare un'inchiesta. Su questo piano massimalistico, radicale, se vogliamo, anche un po' moralistico, la collaborazione di un uomo di cultura con la televisione è effettivamente impossibile.

Resta il venti per cento (sono cifre scherzose!) della televisione: ossia tutta la parte dell'autenticità documentaria (chiamiamolo lo « specifico televisivo»!) e le poche trasmissioni di carattere autenticamente culturale, anche se, naturalmente, divulgativo (ho partecipato recentemente, come intervistatore, a una trasmissione su Ezra Pound, per esempio). Il meglio di questo tipo di trasmissioni è « Tv 7 », è ben noto.

Dunque io credo che, a patto di dire, anche con violenza, e anche auspicando una marcia di protesta, ciò che della televisione è male — ed è il peggiore dei mali perché mortifica e nega lo spirito —, gli uomini di cultura non possano, se non col risultato di rendersi prigionieri di un rigore che maschera l'aridità e una specie di autopunizione, rifiutarsi al tentativo di chi crede in buona fede di migliorare il livello delle trasmissioni televisive. Ecco dunque in cosa consiste la mia precisazione. Collaborare alla televisione cosi come essa è, come « un tutto indistinto», come «idea», è impossibile: collaborare al di là di questa fatalità è possibile, e anzi doveroso.
Cordiali saluti dal suo
Pier Paolo Pasolini

Trascrizione da cartaceo a cura di B.Esposito.




Curatore, Bruno Esposito

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