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lunedì 3 dicembre 2012

TOLSTOJ, PASOLINI e il TAGLIAMENTO

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Sergio Michilini, Gli scomunicati, 2010, olio su tela cm 80x80

TOLSTOJ, PASOLINI e il TAGLIAMENTO

Ho dipinto il fiume Tagliamento come sfondo di questi due grandi personaggi della storia umana: Lev Nikolaevič Tolstoj e Pier Paolo Pasolini
Due SCOMUNICATI dalle loro rispettive chiese: la Cristiana e la Comunista… appunto il titolo del dipinto può anche essere “GLI SCOMUNICATI”, olio su tela, cm.80×80

«Ho voglia di essere al Tagliamento, a lanciare i miei gesti uno dopo l’altro nella lucente cavità del paesaggio. Il Tagliamento qui è larghissimo. Un torrente enorme, sassoso, candido come uno scheletro. Ci sono arrivato ieri in bicicletta, giovane indigeno, con un più giovane indigeno di nome Bruno…» (Pasolini)

Tolstoj e Pasolini, entrambi attenti osservatori delle trasformazioni delle società in cui hanno vissuto con una partecipazione e tensione morale assoluta, hanno sempre espresso giudizi critici polemici, intransigenti, radicali e assolutamente profetici, pagandone duramente le conseguenze fino alla morte.
Contro la guerra, la miseria, le ingiustizie sociali, gli abusi del potere, la corruzione, il clero e i loro dettami dogmatici, la pena di morte
Contro la caccia e in favore dei diritti degli animali e del vegetarismo... Abbraccia con fervore ideali radicalmente pacifisti, nella convinzione che solo l’amore e il perdono, possano unire le genti e dar loro la felicità... Tolstoj è l’antesignano della filosofia non-violenta contemporanea.

Sergio Michilini, Il Tagliamento (particolare)

Scriverà Alberto Moravia su L’espresso:
« L’accusa era quella di vilipendio alla religione. Molto più giusto sarebbe stato incolpare il regista Pasolini di aver vilipeso i valori della piccola e media borghesia italiana
Pasolini scriveva:…”Per questo provoco i giovani: essi sono presumibilmente l’ultima generazione che veda degli operai e dei contadini: la prossima generazione non vedrà intorno a sé che l’entropia borghese“.

Io ricordo quando bambini si andava a giocare nelle “grave” e campagne del Tagliamento, costellate di montagnole che nascondevano i bunker con i carri armati della “guerra fredda” (stavamo quasi alla frontiera con “i nemici” dell’est). Tra le fessure delle porte di ferro si vedevano, nella penombra, questi mostri di acciaio. E noi correvamo su e giù di queste montagnole, e lungo le stradicciole e i sentieri con i “fosaals”, i canali d’acqua per la irrigazione a un lato, sempre verdi di alberi, erbe e fiori, costeggiando infiniti filari di uva e di grano dove noi bambini accompagnavamo gli adulti al lavoro e passavamo ore e ore tra le erbe alte, la polvere e il sudore, in attesa delle nostre madri o zie o nonne che portavano la colazione ai loro uomini…e a noi, affamati e assetati e felici. E poi ricordo i sassi bianchissimi delle “grave” distesi all’infinito e i rigagnoli di acqua limpida e trasparente, che si faceva azzurra e turchese nelle zone profonde dove, spesso i più grandicelli, come i miei fratelli, o gruppi di ragazzi dei paesi vicini, usavano tuffarsi…
(Sergio Michilini)

Fonte: LA BOTTEGA DEL PITTORE.

PASOLINI PARTIVA PER PRIMO

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


PASOLINI PARTIVA PER PRIMO
di Wu Ming 1
PasoliniSu "Vie nuove" n.40, anno XVII, 4 ottobre 1962, Pasolini racconta nella sua rubrica quel che è successo alla prima di Mamma Roma

«...Il pivello fanatico che, in cima alle scale della galleria del Quattro Fontane, nel silenzio che seguiva la morte di Ettore appena accaduta sullo schermo, mi ha affrontato con l'urlo stentoreo che sapete ("Pasolini, in nome della gioventù nazionale, ti dico che fai schifo") [...] L'ingiustizia dell'iniziativa patriottica è stata largamente compensata dagli incivili schiaffi che ho allentato all'eroe, non appena, sicuro dell'impunità, ha chiuso quella povera bocca di minus habens strillante il nulla. Dovrei vergognarmi di quella mia reazione improvvisa, degna della giungla: sono "partito per primo", come dicono i tanto disapprovati ragazzacci del suburbio, e gli ho dato "un sacco di botte". Dovrei vergognarmi, e invece devo constatare che, date le circostanze che mi riducono a questo - a ragionare coi pugni - provo una vera soddisfazione: finalmente il nemico ha mostrato la sua faccia, e gliel'ho riempita di schiaffi, com'era mio sacrosanto diritto.»
(Le belle bandiere. Dialoghi 1960-1965, Editori Riuniti, Roma 1977).

In una lettera a Panorama del 7 novembre 1974, Pasolini commenta insinuazioni sul suo conto fatte dal giornalista della Stampa Carlo Casalegno (tre anni dopo verrà ucciso dalle BR, ma questa è un'altra storia) e conclude: 

«Quanto all'affermazione di Casalegno su una mia "nostalgia di un passato anche tinto di nero", sia ben chiaro: se egli osa ripetere qualcosa di simile, prendo il treno, salgo a Torino e passo alle vie di fatto.» 
(Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975).

In un frammento inedito di fine '74, Pasolini afferma di non aver mai esercitato «un atto di violenza, né fisica né morale» (Ibidem). Mica per non-violenza, anzi, la non-violenza «se è una forma di autocostrizione ideologica, è anch'essa violenza». Ne consegue che Pasolini non considera affatto violenza gli "schiaffi incivili" e le possibili "vie di fatto" di cui sopra. Di seguito, però, racconta "una sola eccezione", risalente a dieci anni prima. Aggredito da alcuni fascisti, Pasolini reagisce e ne insegue uno, "il più scalmanato": 

«La nostra corsa è durata per più d'un chilometro attraverso il quartiere San Lorenzo», 
tra diverse peripezie, salti su e giù da un tram in corsa, calci etc. Alla fine, il fascista riesce a fuggire. 
«A quel punto, però, probabilmente, anche se lo avessi acciuffato, non avrei fatto più niente. La rabbia cieca mi era ormai passata.» 

Pasolini fa capire che, se avesse acciuffato quel "miserabile" prima del calare dell'ira, sarebbe parsa poca cosa la reazione "degna della giungla" al cinema Quattro Fontane (altrimenti perché definire "violenza" quest'inseguimento e non quell'alterco?).
Il trentennio seguito alla sua morte ci ha restituito un Pasolini tenero e fragile, saggio e ieratico, eccessivamente ingentilito, "indebolito", "postmodernizzato". Lui, invece, era uno a cui saltava la mosca al naso, uno che poteva pure menarti, nulla da invidiare a Hemingway o Norman Mailer. Si teneva in forma, giocava a calcio e poteva inseguire un fascista per oltre un chilometro, prendere un tram al volo etc.
Anche per questo, fin da subito, ben pochi credettero alla prima versione di Pino Pelosi. Se Pelosi fosse stato solo, Pasolini gli avrebbe come minimo incrinato tre costole, fatto ingoiare qualche dente. All'Idroscalo, infatti, lo scrittore si difese: il corpo reca vistose tracce di colluttazione.



Curatore, Bruno Esposito

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